Un «piazzista di anime» in una galassia lontana

Massimo Marino | 18/11/2017 | Corriere di Bologna

LO SPETTACOLO

Un «piazzista di anime» in una galassia lontana Primo Levi nello specchio dell’immaginazione. Secondo Archivio Zeta

di Massimo Marino

Gli Archivio Zeta contìnuano a esplorare opere di epoche lontane tra loro, ambientandole in spazi teatrali con caratteristiche molto differenti. Si tratta di una ricerca sulla parola come dialogo con una comunità in crisi, la nostra, da costruire o ricostruire attraverso la sfida di una poesia che parte dalla pagina di grandi autori e diventa corpo, spazio, moltiplicandosi.

Dopo i classici antichi (e non solo) distesi sul monte del Cimitero militare germanico della Futa, luogo aperto di per sé ricco di risonanze, per il secondo anno tornano in residenza nella piccola sala del teatro delle Moline, con Eri, per visitare autori italiani degli anni post boom economico, quelli, secondo Pasolini, della trasformazione antropologica degli italiani. L’anno scorso erano Parise, Calvino e il Levi testimone dell’orrore nazista. Quest’anno l’attenzione si volge a Primo Levi autore di una fantascienza che sposta il nostro mondo appena più avanti nello spazio o nel tempo, scegliendo di interrogarlo con le licenze dell’immaginazione e non da una prospettiva di memoria o realistica.

In Vizio di forma, Enrica Sangiovanni e Gianluigi Guidotti — con le fondamentali musiche di Patrizio Barontini, un sibilo cosmico continuo su cui si inseriscono frammenti di brani da Beethoven a Schònberg — ci sprofondano in una specie di caverna platonica futuribile. Il racconto di Levi, contenuto nella raccolta del 1971 omonima dello spettacolo, si intitola propriamente Procacciatori d’affari.

Una piazzista d’anime di una galassia lontana propaganda luoghi in cui le ombre possono incarnarsi.
Siamo noi stessi, gli spettatori, a stretto contatto con gli attori in un luogo buio e emozionate, fantasmi che devono prendere consistenza. A ognuno viene appesa al collo una lastra di cera, così come di quel materiabile che il calore può fondere sono fatti gli oggetti di scena (di Francesco Fedele). Il procacciatore vanta i bei paesaggi della terra, le città, gli ambienti umani: un Eden.

Intanto il buio è squarciato da ombre luminose proiettate da un vecchio super 8 da Alberto Gemmi. Al prescelto, che dovrà andare sul pianeta, non sfugge però qualche imperfezione, una madre indiana scheletrita, quel nero che penzola dalla forca, la guerra… Tra i due, nel buio, con una recitazione stupefatta, che porta nelle parole-cose di Levi, appaiono le ingiustizie umane.

La venditrice propone qualche vantaggio per questa anima speciale, ma il finale rifiuta ogni distinzione, accettando il comune destino di sofferenza degù uomini. Il buio, i suoni, la vicinanza, la cera illuminata in modo cangiante, la forza delle parole di Levi creano un impasto affascinante, denso di echi che innescano catene di pensieri.

«Vizo di forma» di Archivio Zeta, tratto da Primo Levi Al teatro delle Moline dal 23 al 26 novembre e dal 7 al 10 dicembre