Parlamento di migranti

Claudio Cumani | 11/09/2015 | Il Resto del Carlino

A Villa Aldini la pièce con i richiedenti asilo

 di CLAUDIO CUMANI

SONO SIRIANI, pachistani, papuani, senegalesi… Hanno incontrato il teatro per caso e con difficoltà. Pochi sapevano dire una parola in italiano, alcuni si esprimono in francese, altri in inglese, altri ancora nel loro idioma africano. Eppure sono riusciti a costituire un coro. Un coro per Pier Paolo Pasolini, Oggi e domani alle 19 nello spiazzo antistante la facciata di Villa Aldini (che è centro di accoglienza per richiedenti asilo) un gruppo di migranti si ritroverà in cerchio cercando di creare un Parlamento, ovvero un luogo capace di favorire il dialogo e ti racconto.

Si svolge qui il quarto e ultimo episodio del progetto PUade che Archivio Zeta da questa primavera sta portando in giro per l’Italia: una prima parte si è vista a Monte Sole, un’altra a Monte Battaglia nel ravennate e una terza a Volterra nei giorni del festival. Tutto questo lavoro, opportunamen te rivisto da un punto di vista drammaturgico, verrà presentato in un’unica giornata, quella del 1° novembre, a Bologna in tre tappe (mattino, pomeriggio e sera) e in tre luoghi diversi della atta ancora da definire.

Ci saranno gli attori di Archivio Zeta (Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti con Alfredo Puccetti), un gruppo di bambini e i vari cori che in questi mesi hanno preso parte al pro getto: quello dei bolognesi di Monte Sole, dei volterrani, di un gruppo di operai di una fabbrica toscana in crisi e ovviamente dei migranti. Intanto in questo week end è tempo di Pilade-Parlamento, una messa in scena che viene ospitata non a caso nel luogo che fu uno dei set dell’ultimo film scritto e diretto da Pasolini, Salò. «Ci piaceva – dice Enrica Sangiovanni- portare Pilade, che è in assoluto una tragedia sul potere, nei luoghi in cui è stato girato un film fortemente politico come questo. Per dire che in fondo il rapporto con il fascismo e il Dopoguerra non è risolto».

‘Pilade’ è una delle sei tragedie che Pasolini ha scritto fra il 1960 e il 1970: testi difficili, altamente poetici, difficilmente realizzabili in teatro. Perché la scelta è caduta proprio su questo titolo?

«Perché Pilade è l’ideale continuazione dell’Orestea di Eschilo che abbiamo da poco affrontato. Ci interessava compiere un affondo di largo respiro sulla complessità contemporanea e per farlo abbiamo smembrato il testo, creato intermezzi drammaturgici, lavorato al comvolgimento della società civile. Insomma ci siamo voluti concedere, vista la problematicità del testo, una totale libertà toccando luoghi dove la Storia è passata in modo doloroso come Monte Sole o dove ancora le ferite sono aperte come Villa Aldini».

Come avete lavorato con i migranti?

«il problema maggiore è venuto dalle barriere linguistiche e in questo ci hanno aiutato diversi operatori. Abbiamo avuto rapporti con molta più gente di quella che sarà in scena. Con loro abbiamo avviato un percorso di conoscenza che è approdata ad esempio nella visione del documentario di Pasolini Appunti per un’orestiade africana. Il dibattito che lui fa con gli studenti universitari di quel continente è ancora di grande attualità».

Perché affrontare proprio il toma del Parlamento con i rifugiati?

«E’ il tentativo dì far affiorare i primi e incerti passi di un popolo verso la libertà».