Il nostro lungo lockdown sulla Montagna incantata

Laura Zangarini | 23/07/2022 | Corriere della sera

Da vent’anni la compagnia Archivio Zeta allestisce al Cimitero militare germanico della Futa, in Toscana, un’opera teatrale. Adesso tocca al capolavoro di Thomas Mann. «La pandemia lo ha reso attuale in modo sconvolgente»

Alla Futa, sulla vetta che domina il passo tra Firenze e Bologna — scrive il 29 giugno 1969 nelle pagine di Cronaca di Firenze de “La Nazione” il giornalista Mauro Mancini —, oggi è stato inaugurato un cimitero di guerra tedesco con 30.658 caduti. Sono i morti del 1944 e del ’45, da Roma alla Valpadana, soprattutto i morti della linea gotica che passava di qui e impronte tanto dure lasciò sul nostro Appennino. Varie migliaia di congiunti sono arrivati dalla Germania Federale. Vecchie madri ancora piangenti sotto un tragico temporale. Raffiche gelide di pioggia hanno accompagnato la lunga cerimonia».

Al Cimitero della Futa (Firenze), opera dell’architetto Dieter Oesterlen, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti di Archivio Zeta hanno messo piede per la prima volta nel 2002. Un anno dopo vi hanno portato in scena I Persiani di Eschilo, primo episodio di una Trilogia tragica (seguito da Sette contro Tebe e Antigone) rappresentata sulla linea gotica e in particolare nel Cimitero militare per una potente scelta simbolica: «La tragedia di Eschilo — spiega Guidotti — parla di un tentativo di riconoscersi nell’altro. Il drammaturgo greco si mette addirittura nei panni del “nemico”, cercando di provare a capire il suo punto di vista».

Dal 2005 l’appuntamento è divenuto una consuetudine. Anno dopo anno sono aumentati gli spettatori, rendendo il cimitero sempre più accessibile ai visitatori provenienti dall’una e dall’altra parte del valico — e non solo. Nel triennio 2019-2021, Archivio Zeta ha messo a punto il progetto Topografia Dostoevskij, che, racconta sempre Guidotti, «ha attraversato l’opera del grande romanziere russo nello spettacolo Pro e contro, liberamente ispirato a I fratelli Karamazov, con riferimenti anche a II sogno di un uomo ridicolo. L’anno scorso la drammaturgia ha esplorato invece L’idiota: «Ci siamo concentrati soprattutto sull’immaginare il volto dell’altro, che in quel caso era il volto della sconvolgente tavola Il corpo di Cristo morto nella tomba di Hans Holbein (1521).

Dostoevskj la descrive nel romanzo a partire dalla sua vicenda biografica sulla condanna a morte». La compagnia si prepara ora ad affrontare La montagna incantata, prima parte di un nuovo progetto triennale (2022-2024) dedicato al romanzo di Thomas Mann (riproposto qualche anno fa nei Meridiani Mondadori in una nuova traduzione con il titolo La montagna magica). Lo spettacolo sarà in scena al Cimitero militare germanico del passo della Futa dal 29 al 311uglio; e poi dal 5 al 21 agosto. Protagonista del racconto è Hans Castorp, giovane e modesto ingegnere che arriva in un sanatorio delle Alpi svizzere per fare visita al cugino. Il soggiorno che doveva essere breve si dilata nel tempo e finisce per far parte di un nuovo modo di vivere in cui il passare del tempo si relativizza. Seduto sul balcone della casa di cura e avvolto in una coperta, Hans riflette sulla vita, la morte, l’amore.

«Abbiamo creato una partitura drammaturgica a partire dalle prime cinquecento pagine del romanzo: non è stato per niente facile», sottolinea Sangiovanni. «Per anni — interviene Guidotti —abbiamo lavorato su testi già teatrali, solo da qualche tempo siamo naufragati su romanzi infiniti come I fratelli Karamazov, L’idiota e, ora, La montagna incantata, da cui siamo riusciti a isolare frammenti di senso. Ma, mentre in Dostoevskij il lavoro era più “astratto”, perché ci siamo “allontanati” dalla trama e dai personaggi, in questo caso rientriamo all’interno del romanzo classico — ma La montagna incantata è anche un’opera estremamente sperimentale — per raccontare la vicenda. Ci sono i personaggi, ci sono le azioni, c’è la storia di Hans Castorp, il protagonista». «È come se, per. noi, questi romanzi rappresentassero degli atlanti di pensiero — riflette Sangiovanni —, il copione che ne esce è la mappa del pensiero dei loro grandi autori, delle loro idee, dei loro sogni. C’è l’inizio del Novecento, un secolo in cui appare chiaro per l’autore che qualcosa di terribile sarebbe accaduto — una “intuizione” che vale anche per Kraus o Kafka. C’è la malattia, anzi il romanzo è una imponente riflessione sulla malattia. Se il corpo cambia e si modifica per la malattia o se la malattia fa parte già del corpo, se è insita nel nostro modo di vivere. Ed è sorprendente come le considerazioni espresse nel libro dai medici siano incredibilmente contemporanee lette oggi». «Su questo testo, che porteremo in scena con una compagnia di dieci giovani attori e un musicista, stavamo riflettendo da anni — prosegue Guidotti —, la congiuntura con la pandemia lo ha reso attuale in modo sconvolgente. Ci interessava lavorare su un’idea di giovinezza che si ritrova in una condizione di solitudine da una parte, e di costrizione dall’altra. Una sorta di infinito lockdown in un santuario di montagna che diventa, per il protagonista, una prigione. E interessante assistere alla metamorfosi, anche culturale, di Castorp, nel lungo periodo di permanenza in sanatorio, durante cui questo giovane, umile e sempliciotto al suo ingresso, si trasforma in un grande pensatore. In un luogo che è paradossale: mettiamo in scena un romanzo ambientato nel 1907 avendo davanti a noi i morti della Seconda guerra mondiale, mentre i giovani e inquieti personaggi di Mann appaiono pronti per la Grande Guerra». Aggiunge: «Avremo davanti un pubblico frastornato: lo spettatore di teatro ha attraversato con difficoltà questi due anni e mezzo; molti sono stati contagiati dal virus, hanno provato cosa vuole dire combattere contro una malattia polmonare. Ritrovarsi di fronte a un romanzo che parla così da vicino di noi sarà in qualche modo catartico. Credo che La montagna incantata sia un’opera contro la paura. La paura di vivere, la paura della malattia».

Prima di fondare Archivio Zeta nel 1999, ricorda Guidotti, «siamo stati giovani attori con Luca Ronconi. In quello stesso anno abbiamo allestito Gli uccelli, da Aristofane. Nel tempo abbiamo lavorato ad altre creazioni, approfondendo sia il tema del teatro classico che quello della memoria, intorno alla quale abbiamo realizzato quello che consideriamo forse il nostro più importante lavoro, La notte, di Elie Wiesel, del 2002. Un progetto sulla Shoah che coinvolgeva in prima persona il Premio Nobel per la pace 1986. Che, per la prima volta, ha letto i brani più importanti della sua testimonianza, in video poi proiettati nello spettacolo». Le due anime della compagnia, classicismo e memoria, hanno sempre viaggiato in parallelo fino a quando «siamo approdati in questo luogo che ‘consideriamo il nostro teatro di Marte (il termine, coniato da Karl Kraus ne Gli ultimi giorni dell’umanità, pubblicato da Adelphi, è così introdotto dall’autore: “La messa in scena di questo dramma, la cui mole occuperebbe, secondo misure terrestri, circa dieci serate, è concepita per un teatro di Marte”, ndr) che è il Cimitero germanico del passo della Futa. Incontrarci ogni anno è diventato un rito culturale condiviso. Fino al 2010 abbiamo lavorato sulla tragedia antica, Eschilo, Sofocle, l’intera Orestea per quattro anni, conclusa con II Pilade di Pasolini. Poi Kraus, Dostoevskij, Shakespeare, Cortàzar. Finché siamo approdati a Mann». «Ora però vorrei spiegare la scelta del nome, Archivio Zeta — dice Sangiovanni —. Per noi l’archivio non è qualcosa di certo, ma di incerto, mai completo, mai ordinato. Un luogo del pensiero nel quale scaviamo per mettere da parte immagini, testi, parole da usare come cartografie per affrontare il contemporaneo. I nostri punti di riferimento sono Georges Didi Huberman e Georges Perec, il “faro” Calvino, Anna Achmatova, Mandel’stam, Walter Benjamin; procediamo per ipotesi, per studio: è così che pensiamo possa essere messo insieme il nostro archivio “immaginario”. L’altra parola, zeta, zi — è vivo — è quella che gli oppositori al regime dei colonnelli in Grecia scrivevano sui muri quando uno di loro veniva ucciso. Un atto di resistenza, di vita».

La compagnia Archivio Zeta è stata fondata nel 1999 da Gianluca Guidotti (Firenze, 1976) e Enrica Sangiovanni (Napoli, 1975), autori, registi e produttori indipendenti di lavoro culturale (a sinistra nella prima foto piccola dall’alto). La compagnia ha esordito nel 1999 con Gli Uccelli di Aristofane. Ogni estate a partire dal 2003 la scenografia utilizzata per il debutto e le repliche degli spettacoli della compagnia è il Cimitero militare germanico del Passo della Futa (Firenze; a sinistra nella foto in basso). Tra le loro più recenti produzioni Antigone Nacht und Nebel (2018) e Pro e contro Dostoevskij (2019) Lo spettacolo La montagna incantata (nelle altre foto di Franco Guardascione alcuni momenti delle prove), prima parte del progetto triennale (2022-2024) dedicato al romanzo di Thomas Mann, debutterà in prima nazionale dal 29 al 31 luglio e dal 5 al 21 agosto, sempre alle 18. Info e prenotazioni: archiviozeta.eu; tel. 334.9553640 Il luogo Il Cimitero militare germanico della Futa si trova nel comune di Firenzuola. Realizzato a partire dal 1961 su progetto dell’architetto tedesco Dieter Oesterlen, è stato inaugurato ufficialmente il 28 giugno1969, e accoglie 30.658 soldati tedeschi caduti in guerra in territorio italiano