La voce sui luoghi

Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni | 11/09/2014 | La voce sui luoghi – I Martedì

Un tramonto del luglio 2010 segna l’inizio del legame tra la compagnia teatrale Archivio Zeta e “il luogo Monte Sole”, per restituirvi parola, pensiero, vita e significato.

L’ origine è la meta Karl Kraus

Se si arriva a Monte Sole in un giorno qualsiasi, fuori dalle celebrazioni, si ha davanti il paesaggio dell’ Appennino e una sensazione di vuoto, come di campagna abbandonata dall’ uomo. Immagine quasi tranquillizzante. Solo se si ha tempo e curiosità di approfondire si capisce che questa pace non è vera pace: questa un tempo era una terra piena di vita! Si prova a fissare lo sguardo su queste linee di verde per cercare di accedere a una visione più profonda del paesaggio. I cartelli indicano due o tre siti della strage (furono più di cento) e visitandoli ti sembra di essere in un’area archeologica: muri rifatti, rovine ricostruite e fiumi di retorica istituzionale e religiosa che emana dalle lapidi disposte un po’ ovunque.
Da questa falsificazione del paesaggio e da questo abbandono è nato in noi il desiderio di provare ad abitare quei luoghi restituendogli la parola, quindi la vita. Un desiderio che si può definire teatro, un nostro modo di fare teatro: ricercare sui luoghi, in relazione allo spazio e alla natura, la responsabilità della parola pronunciata.
Per questo da alcuni anni abbiamo intrecciato una parte del nostro percorso artistico, etico, culturale e intellettuale con la Scuola di Pace di Monte Sole. Sono approdati a Monte Sole alcuni nostri spettacoli: Iliade – I fiumi parlano a San Martino al tramonto nel luglio del 2010. Da allora abbiamo ideato insieme il Progetto META Memory Education Theatre Action che ha prodotto un laboratorio residenziale e lo spettacolo/laboratorio La Zona Grigia tratto da I sommersi e i salvati di Primo Levi, che è stato portato in moltissime scuole e alla chiesa di Casaglia in occasione del 25 aprile 2012. E quest’anno Leggere Antigone a Monte Sole, una lettura pubblica da Sofocle,
Dossetti e Atti della Costituente che ha coinvolto come attrice Salvina, una testimone dell’ eccidio. In realtà il nostro lavoro di memoria parte da lontano: nel 2000 lavorammo al Progetto La Notte tratto da La Nuit di Elie Wiesel, che comprende letture e una video-intervista al Premio Nobel per la Pace, che incontrammo a Boston. Inoltre dal 2003 lavoriamo all’ interno del Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa, un imponente monumento a cielo aperto, che raccoglie i caduti tedeschi della seconda guerra mondiale sulla Linea Gotica (circa 36.000) e si estende sulla cima della montagna a mille metri di altitudine con infinite lapidi a perdita d’ occhio. In questo luogo abbiamo messo in scena molte tragedie greche.
Era destino quindi che il nostro teatro di resistenza in montagna, dal cimitero dei nemici arrivasse ai luoghi dell’ eccidio e si accostasse ai metodi didattici ed educativi della Scuola di Pace di Monte Sole. E così negli anni il nostro lavoro teatrale all’aria aperta, all’ ora del tramonto, senza amplificazione, si è spostato da Monte Sole al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa, da Sant’ Anna di Stazzema all’ Altopiano di Asiago.
Vorremmo adesso raccontarvi come si è svolto il laboratorio residenziale META, così da farvi capire cosa significa abitare con le parole questi luoghi. Nell’ estate del 2011 insieme alla Scuola di Pace, che ha sede/foresteria proprio nel parco, in mezzo al verde, abbiamo organizzato un laboratorio di una settimana, aperto a tutti e condotto da noi per la parte teatrale e dagli educatori della Scuola per la parte educativa e storica. Si è costituito un gruppo variegato di persone che per sette giorni, per quasi dieci ore al giorno, ha partecipato alle attività proposte. Come abbiamo lavorato: il primo giorno abbiamo chiesto ai partecipanti di selezionare e leggere a voce alta un breve brano dal libro che loro stessi avevano scelto e si erano portati a Monte Sole. Si è formato en plein air un arcipelago di testi apparentemente senza nessi fra di loro ma che hanno permesso una prima fase di ascolto e di conoscenza degli altri e un primo grado di comunicazione verbale.
Poi abbiamo abitato ogni giorno un luogo diverso dell’ eccidio e in ciascun luogo abbiamo provato a lavorare teatralmente su un testo, questa volta proposto da noi: il poema di Cesare Pavese La terra e la morte.
La fase iniziale del lavoro si è svolta a Colulla di sopra. Ferruccio, uno dei testimoni dell’ eccidio, ci ha accompagnato nella passeggiata, fin dove era la sua casa: ci ha aperto un sentiero perché il bosco abbandonato lo aveva ricoperto e solo grazie alla sua conoscenza del territorio siamo riusciti a raggiungere le rovine della casa dove tutta la sua famiglia ha perso la vita. Abbiamo provato a far leggere il testo ad alta voce. Ferruccio, dopo averci raccontato la sua testimonianza e dopo aver mangiato con noi sulla paglia e sull’ erba, ascoltava Pavese attento, in silenzio…
Non sono state mai assegnate parti ma si è letto a turno, sentendo il momento giusto per intervenire, ascoltando gli altri e vedendo cosa stavano facendo. Il primo concetto che abbiamo cercato di far comprendere è che il testo è uno spartito vivo e si deve rispettare e amare il verso, nel tentativo di far esplodere, anche solo per un istante, le parole riemerse da quella poesia scritta nel 1945 a pochi mesi dai fatti di Monte Sole e che là in quel podere abbandonato, davanti al dolore e alla dignità di quel vecchio signore, stavano lentamente riprendendo significato al di là della pagina scritta.
Nel secondo luogo che abbiamo abitato teatralmente, Cerpiano, le parole di Pavese hanno iniziato ad avere peso e valore, le parti del discorso hanno formato dei suoni e il discorso un andamento. Nello stesso tempo abbiamo iniziato a richiedere maggiore cura e attenzione nell’ uso della voce e dello spazio. Nel corso dei tentativi il laboratorio ha maturato una coscienza, o meglio una responsabilità, nei confronti del testo e della sua fondamentale importanza. Abbiamo iniziato a non sprecare più le parole. Dopo questa prima fase di scoperta, di decodificazione e di condivisione (anche attraverso conflitti e opposizioni) di un metodo di lavoro comune, è iniziata la fase del gioco: nel terzo luogo che abbiamo abitato, San Giovanni di sotto, ha avuto inizio una fase più teatrale, in cui si è messo in movimento anche il corpo, attraverso i gesti e la posizione nello spazio. Si è meditato sull’ importanza del gesto e del corpo perché anche il corpo e il gesto sono la nostra lingua comune e hanno peso come le parole. Si è lavorato sugli spazi, all’ aperto, mettendo in connessione la natura (il vento, il sole, il verde degli alberi, la terra rossa e la terra nera, il piccolo lago, le campane in lontananza dei frati dossettiani, i versi degli uccelli, un aereo che passa…), con i luoghi di memoria, con l’ azione teatrale. Nell’ arco del percorso l’ obiettivo è stato quello di lavorare con rigore e massima concentrazione sugli elementi di base del (nostro) teatro e di condurre i partecipanti verso una consapevolezza etica nei confronti di ciò che dicono ofanno. L’ultimaprovadeltestoèavvenutaaSanMartino:in silenzio, sapendo che sarebbe stata l’ultima prova, ciascuno si è messo in ascolto dell’ altro, ha cercato
di percepire i movimenti dell’ altro, ha cercato di trovare uno spazio nelle parole di Cesare Pavese e di ripeterle a contatto con la natura e la memoria, circa mezz’ ora di sospensione sulle parole, di responsabilità e di azione: la sensazione finale che si è percepita è stata molto forte. Ci siamo trovati immersi in un rito, rito culturale, un teatro fatto da cittadini che si sono posti dei problemi, che hanno fatto dei tentativi, un atto nello stesso tempo umano e politico (nell’ accezione greca del termine). Un atto in cui un gruppo di persone faticosamente ha cercato di dare senso a parole e cose. Un lavoro che, concretamente, nei fatti, ha tentato di essere ipotesi di risposta, di presa di posizione nel dibattito arte/memoria.
Un lavoro che per tutti ha avuto inizio e rimane aperto: si è lasciato a ciascuno la libertà di decidere se ripeterel’esperimentoteatraledeLaTerraelaMorte nei giorni dell’ anniversario di Monte Sole a ottobre 2011 davanti a un pubblico di altri cittadini… e così è avvenuto: a ottobre ci siamo rivisti e abbiamo riletto tutto il poema dopo un mese che non ci vedevamo, non ci sono state prove nel frattempo. Un piccolo gruppo di spettatori ascoltava curioso e stupito. Forse siamo sembrati dei matti ma per noi questo esperimento ha un significato immenso: ha dimostrato quanto sia importante concentrarsi su un testo per un tempo lungo e leggerlo e rileggerlo infinite volte e poi farlo decantare per poter iniziare a dire di averlo letto, se non capito, nelle sue coordinate musicali, ritmiche e compositive, quanto sia importante conoscere lo spazio dove avviene questa lettura a voce alta, quanto sia importante mettere in comune questi tentativi di lettura con gli altri.
Per noi l’ incontro con la parola, con la letteratura non può prescindere da questo artigianato. La parola è una materia che sottostà a delle leggi e la letteratura è un codice. Per togliere alla meravigliosa avventura della lettura e della scrittura il pericolo costante dell’ irresponsabilità e dell’ assuefazione, insomma l’ uso e l’ abuso col mondo, la nostra bottega di teatranti ostinati, tenta queste strade. Cerchiamo la meraviglia e ogni volta che rileggiamo cerchiamo nuovo significato. È un servizio fatto alla sensibilità nostra ma anche a quella di chi, scrivendo, in un tempo precedente, ha pensato prima nell’ interno, nel profondo della sua mente, un pensieroparolanodoimmagine e lo ha posto alla verifica della ragione e infine ha preso il coraggio a quattro mani e ha tracciato, inciso, battuto, a seconda dei supporti del proprio tempo, la traccia e i segni del pensiero. In questo tentativo di ritornare alle sorgenti del significato risiede l’ unica ragione per cui continuiamo a fare teatro.