La tragedia (greca) dei profughi che a Villa Aldini diventano attori

Beppe Persichella | 11/09/2015 | Corriere della sera – Bologna

Quindici giovani africani saranno il coro in un’opera di Pasolini

Dalla tragedia greca a quella odierna degli sbarchi. C’è qualcosa che unisce Pier Paolo Pasolini e il dramma dei profughi. Nel 1975, prima di morire, il regista realizzò il suo ultimo il film Salò o le 120 giornate di Sodoma: gli esterni furono girati a Villa Aldini, ora centro di accoglienza per i rifugiati. A 40 anni dì distanza il gruppo teatrale Archivio Zeta torna su quei passi e, di fronte all’edificio neoclassico, oggi e domani mette in scena Pilade/Parlamento, il quarto e ultima episodio dell’opera teatrale deli’intellettuale ucciso sul litorale di Ostia. Ed è qui che il filo rosso riemerge.

I due attori e registi Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti hanno pensato di guardare negli occhi la realtà. E se Villa Aldini oggi è la casa temporanea dei profughi scappati dall’Africa, allora è giusto, hanno pensato, che siano loro stessi a interpretare il coro greco. «Impossibile non chiamarli, in questo nostro progetto abbiamo sempre coinvolto i cittadini delie città dove siamo andati in scena».

A Salina di Volterra con gli operai della Smith Bits appena licenziati, a Monte Sole con i cittadini di quel pezzo di terra dell’Appennino emiliano che fu il teatro del più cruento eccìdio nazifascista. «Ma c’è di più», racconta Guidotti. Perché Pasolini l’Africa l’ha vissuta e mostrata in un documentario poco conosciuto, Un’Orestiade africana, che lo scrittore Alberto Moravia così commentava: «Pasolini “sente” l’Africa nera con la stessa simpatia poetica e originale con la quale a suo tempo ha sentito le borgate e il sottoproletariato romano». Ora arriva Pilade, che delYOrestea di Eschilo è la sua prosecuzione- «Visti questi elementi, abbiamo pensato che l’Africa c’entrasse molto con Pasolini. Da qui abbiamo deciso di iniziare a lavorare con i richiedenti asilo».

In tutto una quindicina di ragazzi tra i 18 e i 30 anni arrivati negli ultimi mesi da Gambia, Guinea e Senegal. Per prepararsi hanno seguito da spettatori, nei giorni a cavallo del Ferragosto, la rappresentazione del terzo episodio di Archivio Zeta, Pilade/Boscocimitero al Passo della Futa. «È stato un lavoro complesso — ammette il regista —. Siamo stati supportati dagli educatori e dagli insegnanti che lavorano al centro di accoglienza. Per comunicare abbiamo usato l’inglese e il francese. Alla fine delle prove però l’italiano di Pasolini è diventata la lingua comune».

Il percorso che ha accompagnato i profughi a recitare oggi e domani (dalle 19) — in | quello che è solo un assaggio del progetto «Più moderno di ogni moderno. Pasolini a Bologna» di Comune e Cineteca — ha portato anche a rievocare «le immagini agghiaccianti di Ventimiglia, quando in primavera tanti migranti furono abbandonati a se stessi». Questo momento verrà rivissuto durante lo spettacolo, «molti di loro indosseranno coperte termiche, le stesse che vengono consegnate a chi sopravvive agli sbarchi, in questo modo abbiamo discusso di democrazia, libertà e del ruolo del Parlamento».

Non ci sono state né selezioni né provini, tutti i profughi sono stati liberi di partecipare. E fino all’ultimo Archivio Zeta ha tenuto aperte le adesioni. Spiega Guidotti: «Alcuni sono studenti, vorrebbero frequentare l’Università. Altri vogliono lavorare, fare Infermiere o l’economista. Ognuno con la sua ambizione e un sogno da realizzare».