La potenza del mito antico svela gli orrori del presente

Sandra Balsimelli | 19/07/2018 | Gufetto

Torna a lavorare su Antigone Archivio Zeta, dopo anni di confronto appassionato con questo classico che ha visto la compagnia, ormai di casa nello spettrale silenzio del Cimitero della Futa, interrogarsi a lungo sul senso civico della tragedia di Sofocle, e sul valore della disobbedienza in difesa dei diritti inviolabili. Ne emerge uno spietato richiamo all’attualità, cui il mito antico fornisce un sorprendente specchio in cui riflettersi e di fronte al quale lo spettatore non può, nè vuole sottrarsi, avvinto dall’atmosfera irriducibile del luogo e delle memorie dolore che evoca.

Antigone, sventurata figlia di Edipo, sceglie la morte per disobbedienza, per aver violato il decreto di Creonte, tiranno di Tebe, che vieta sepoltura ad uno dei due fratelli morti su fronti opposti: Polinice verrà lasciato insepolto, reo di aver attaccato la città causando la morte di Eteocle, caduto, invece, nel difenderne le mura. Eredi della stessa stirpe, le mura di una comunità a dividere il dentro e il fuori, il giusto e lo sbagliato. Nel mezzo una donna, figlia, sorella e cittadina, divisa tra la legge ingiusta di un despota arrogante, meschino intruglio di pusillanimità e megalomania come tutti di dittatori della storia, e la pietà verso il fratello, l’obbedienza al foro interiore della coscienza.

La tragedia si svolge itinerante tra le tombe di un cimitero impossibile, dove hanno trovato sepoltura i vinti della storia, i carnefici di ieri, gli “indegni di sepoltura”, (“Il nemico non è mai amico, nemmeno dopo morto’” ci ricorda il personaggio di  Creonte, impersonato da Gianluca Guidotti)  puniti dalla Storia per aver aggredito la polis della democrazia, ragazzi tedeschi di 20 anni spinti a morire su questi monti meravigliosi dal fanatismo nazista, dalla sorte, dalla ragion di stato e chissà da che altro. Gli spettatori, guidati da due attori vestiti da soldati della seconda guerra mondiale, camminano tra le lapidi, costretti a diventare testimoni di un ipnotico gioco di specchi che oscilla costantemente tra il passato mitico e la memoria del presente. Un silenzio surreale accompagna i quadri scarni densi di simbolismocui gli attori danno vita, come in un rito antico di lutto e catarsi collettiva.  Antigone, un’intensa Erica Sangiovanni, ci chiama con occhi di fuoco a partecipare da protagonisti, distribuisce al pubblico teli neri con cui velarsi di fronte alla salma di Polinice, ci costringe a piangere quel morto scomodo, ci getta in faccia l’impossibilità di sentirsi assolti o immuni dalla responsabilità condivisa dell’ingiustizia ai danni dell’umanità e della pietà. Saliamo al sacrario del Cimitero e assistiamo al confronto con Creonte e alla condanna e morte di Antigone. Scarni i dialoghi, scandita, lenta, quasi irreale la recitazione, ogni parola scavata, scolpita nella coscienza, dilatata da lunghi silenzi, come per la volontà di imprimere ogni sillaba nella memoria di chi ascolta. Immagini dense di riferimenti che, a poco a poco, si fanno più espliciti: Antigone è Maria e Cristo allo stesso tempo, solleva ai nostri occhi il fratello crocifisso alla follia del potere e ne segue il destino in un sepolcro di morte, una tomba in cui fuggire, viva, agli orrori perpetrati nei secoli dagli uomini. E sotto i suoi occhi i morti di tutti i fronti, i cumuli di salme che la storia ha tracimato via, nel silenzio evocato dal sottotitolo dell’opera, “notte e nebbia” (sinistra metafora nazista per indicare la realizzazione dello sterminio degli ebrei) a poco a poco prendono tratti più contemporanei: assumono le fattezze dei naufraghi che a migliaia sbarcano sulle spiagge inaridite delle nostre coscienze, a migliaia riposano sui fondali dei nostri mari. A loro non possiamo non pensare osservando la caricatura di Creonte, in giacca scura e cravatta verde, tronfio di un maschilismo paternalista e violento, irrigidito in una superficiale disumanità che la Arendt, (cui la compagnia si richiama con la frase “Nessuno ha il diritto di obbedire”) avrebbe chiamato la banalità del male.

Non esiste un Paese che appartenga ad un uomo solo”. urla Antigone, immensa di coraggio e fierezza, al piccolo tiranno che le toglierà la vita, “l’arroganza di un uomo non ha il diritto di trasgredire le leggi non scritte”.  “Il paese è di chi ha il potere” le risponde impassibile Creonte, cristallizzato un ghigno stereotipo, maschera sorridente piena di odio, moderno Pilato dell’autoassoluzione, il cui potere si nutre di servi sciocchi e succubi dell’autorità che i due soldati, nostre guide in questo viaggio, incarnano, ciechi ed obbedienti, non per questo innocenti. “ Non sono nata per condividere odio. Sono nata per condividere Amore”. Questo ci urla in volto Antigone, accusandoci di omertà verso un potere disumano: aggrappandosi alla grata della tomba in cui verrà sepolta viva, passa al pubblico il testimone, ricordandoci che i morti torneranno a migliaia, che ci saranno, ci sono già nuove fosse a cielo aperto, da cui la peste, antica piaga, tornerà a farsi messaggera della corruzione fisica e morale della comunità.

Lo spettacolo si chiude con il monito di Tiresia, il profeta cieco del mito, nelle vesti di uno spiantato musicista rock anni ’60 che canta, sulle note della musica utopica di quegli anni (noi non abbiamo paura della bomba…), la sua profezia di sciagure a Creonte, rimasto solo e spaventato dal peso delle sue scelte. Mentre gli attori stendono teli neri tra le salme degli Invasori di ieri e il cimitero diventa un mare d’erba in cui galleggiano le vittime dell’indifferenza, dissolvendo ogni rassicurante definizione, i personaggi voltano, sdegnosamente, le spalle al tiranno;  sul confine di luce ed ombra disegnato a terra dal tramonto si stagliano due mondi divisi da un invisibile e forse insormontabile barriera: la dimensione epica della tragedia antica e il suo accorato richiamo a difendere l’umanità in noi e il grottesco, la farsa del presente, incarnata da uno sbigottito Creonte, in giubbotto salvagente, aggrappato ad un fischietto, sulle note stranianti di Beyond the sea, che nuota inconsapevole,  incapace di soccorrere, di porre rimedio in tempo alle conseguenze di ciò che egli stesso ha innescato.

Potente il richiamo alla trasversalità atemporale del mito che giunge intatto fino alle cronache attuali a provocare le nostre coscienze. La ritualità del teatro è la parola chiave di questo allestimento. Gli accostamenti audaci tra riferimenti a epoche così lontane nel tempo sono resi pregnanti dall’approccio scarno e intenso scelto da attori e regia. I costumi completamente neri dei protagonisti, senza trucco (fatta eccezione per una linea bianca che separa in due il volto di Antigone e della sorella Ismene, donne destinate a subire le rigide divisioni imposte dagli uomini del loro tempo) i pochi oggetti, esposti con la solennità di un sacrificio religioso,  la scelta dei suoni, (note scarne, rumori naturali, dissonanze graffianti che fanno pensare alle pietre sonanti di Sciola), l’uso dei simboli (dalla Pietà di Michelangelo evocata da Antigone che piange la salma del fratello, non unico tra i riferimenti cristologici, al drappo rosso di sangue che sventola dalla grata della prigione della protagonista) tutto contribuisce a potenziare il tentativo di risvegliare, nel pubblico moderno, quell’afflato civico del teatro antico e la sua vocazione comunitaria, inducendo chi osserva a riflettere sul presente in chiave critica e etica. E commosso è il pubblico, avvolto in un silenzio attento, che si scioglie in lunghi applausi al termine dello spettacolo, col desiderio di non rimanere spettatori ma impegnarsi in prima linea contro ogni disumanizzazione del nostro mondo. Si può cominciare facendo propri i molti e stratificati spunti di riflessione suscitati da questa rappresentazione, perché l’ingegno dell’uomo, spesso volto al male, come il luogo e il testo ricordano ad ogni istante, non cessi di tentare di trasformare la realtà in un luogo armonico di rispetto e condivisione tra simili.

Info:
ANTIGONE / NACHT UND NEBEL
drammaturgia e regia Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni
con Gianluca Guidotti, Enrica Sangiovanni, Antonia e Elio Guidotti, Francesco Fedele, Carolina Giudice, Alfredo Puccetti, Andrea Sangiovanni
partitura sonora Patrizio Barontini, elementi scenografici Francesco Fedele, tecnica e invenzioni Andrea Sangiovanni, coreografie Carolina Giudice, sartoria Made in Tina, conflagrazioni poetiche Angela Tognolini, voci del Coro AlessandroBarontini, Antonia e Elio Guidotti, assistenza Giulia Piazza, organizzazione Martina Bubba, foto di scena FrancoGuardascione

produzione Archivio Zeta 2018
con il contributo di Regione Emilia Romagna, Città Metropolitana di Firenze
Cimitero Germanico della Futa

dal 7 luglio al 19 agosto 2018

[credits ultima foto: Debutto di ANTIGONE / NACHT UND NEBEL. Applausi e magliette rosse per restare umani. Dal profilo facebook pubblico di Archivio Zeta]

Riferimenti :