Al Cimitero militare germanico del Passo della Futa ha preso inizio il 29 luglio (repliche fino al 21 agosto) il nuovo progetto di Archivio Zeta dedicato a LA MONTAGNA INCANTATA, il capolavoro di Thomas Mann. Un viaggio immersivo che è iniziato con le prime 500 pagine di un romanzo nei cui meandri ironici ed inquietanti la compagnia si è profondamente immedesimata, rinnovando la sua sorprendente capacità di costruire drammaturgia.

A cura di Sandra Balsimelli e Leonardo Favilli

LA MONTAGNA INCANTATA: UN VIAGGIO ITINERANTE NELLA COSCIENZA SCOMODA DEL ‘900

Nello scenario del Cimitero militare germanico del Passo della Futa, dove la bellezza naturale si sposa alla severità ammutolita del monumento ad una delle memorie più controverse della nostra storia, “accade” LA MONTAGNA INCANTATA della Compagnia Archivio Zeta che, col suo consueto potere evocativo, ci immerge nelle prime 500 pagine del complesso romanzo di Thomas Mann e nel viaggio ai confini del senso della realtà di Hans Castorp, giovane ingegnere in visita di cortesia al cugino, Joachim Ziemssen, ricoverato per tubercolosi presso il sanatorio Berghof, sulle Alpi svizzere. Il soggiorno sarà l’occasione di incontri significativi e vividi (il pensatore umanista Luigi Settembrini, la seducente e misteriosa Madame Chauchat), fantasmi di un Vecchio Mondo che, ai primi del ‘900, sbirciava ignaro il baratro della guerra e della contemporaneità, mostrando tutto il suo bagliore crepuscolare. Eppure non si ha la sensazione di essere catapultati in un lontano passato, ma di essere osservati al microscopio, proprio noi, figli di un presente quanto mai denso di venti di crisi, sotto lo sguardo profetico dell’autore. La lettura dissacrante della compagnia riesce a farci ridere, sorridere e riflettere su temi ancora a pelle viva in ognuno di noi: la morte, la malattia, l’ossessione del confine, mai abbastanza certificato e certificabile, tra i sani e i malati.

LA MONTAGNA INCANTATA – foto di Fabio Francione

IL CONFINE INCERTO TRA SALUTE E MALATTIA: LA METAFORA SENZA TEMPO DEL ROMANZO

Lo spettacolo ci introduce in una sorta di maglia spazio temporale che segna il confine tra il rumoroso, frettoloso “mondo di laggiù”, la città dei sani, e il “quassù” del sanatorio, dove la percezione si dilata fino a  condurre all’oblio. La giornata scorre scandita da regolamenti sanitari paternalisticamente inflitti da un gruppo di medici ed infermieri dai tratti grotteschi e sadici. La misura costante della temperatura, la forzata inazione come nuova virtù civica (“il riposo è il primo dovere del cittadino”), la presunzione di malattia come status sociale permanente. L’esser sani o il sentirsi tali è stigmatizzato con ironia e sconcerto come folle presunzione; l’esser malati invece appare come una condizione al tempo stesso spaventosa e rassicurante perché normata, accudita, sottoposta al controllo costante e alla misurazione oggettiva come garanzia assoluta di salvezza. L’atmosfera rarefatta del sanatorio avvolge tutto: l’aria perfino troppo pura delle Alpi, guarisce e ugualmente ammala, favorendo il freudiano palesarsi del male nascosto, inconscio, sommerso. Sullo sfondo si stagliano due figure divergenti: l’intellettuale Settembrini, custode della grandezza dello spirito umano, e la Contessa Chauchat, affascinante disobbediente alle regole del mondo, incarnazione vivente delle nuovissime teorie psicanalitiche per le quali, si sa, “la malattia non è che amore trattenuto”. La sua colorata matita tra i capelli diventa il correlativo oggettivo di memorie fresche d’infanzia, a cui aggrapparsi per ri-significare la vita, per tornare all’Eros dell’esistenza, sepolto sotto etichette, statuti, protocolli e strutture sociali improntate al controllo.

LA MONTAGNA INCANTATA TRA PAROLE, IMMAGINI ED EFFICACE RESTITUZIONE ARTISTICA

Gli spettatori si muovono tra le lapidi del cimitero tedesco alla scoperta di scorci scenici a 360 gradi: l’azione si svolge tutt’intorno, si percorrono anche i bordi delle mura del monumento cimiteriale, la scena è scarna, perché il contesto naturale basta da solo a evocare, ma anche fortemente simbolica. Le poltroncine sanitarie trasfigurate in culle dove i pazienti sembrano regredire ad uno stato fetale; gli strumenti della cura e della tortura quotidiana, i termometri, le lastre, la ferraglia rumorosa dell’attrezzatura ospedaliera, venerata ai tempi di una medicina tecnologica e investigativa che radiografa, segmenta, trasforma anche l’anima in oggetto di studio, reificando il paziente (“la malattia rende l’uomo solo corpo”) in nome di una mitologica certezza diagnostica; la bicromia dei costumi, un nero e bianco senza appello. Tutto ci conduce in un’atmosfera dicotomica che nega valore a possibilità alternative e alla quale la mente del paziente non può che cedere, a poco a poco.

LA MONTAGNA INCANTATA al Cimitero Militare Germanico Passo della Futa

LA MONTAGNA INCANTATA OLTRE LA SCENOGRAFIA DEL CIMITERO MILITARE

Convincente, coinvolgente e puntuale l’interpretazione degli attori, la cui recitazione serrata e brillante rende la riflessione leggera e divertente, pur toccando senza sconti né mezzi termini, temi ancora dolorosamente attuali. Colpisce l’uso della parola e della voce cesellata, spinta all’eccesso, capace di dare vita a tipi umani, quasi maschere stereotipate. Nella loro esasperata connotazione psicologica i personaggi ci mostrano paure, litanie, rituali collettivi, psicosi che tutto appaiono meno che desuete, in questi anni di pandemia e guerra, sinistramente risuonanti con lo sfondo storico tinteggiato da Thomas Mann. Di grande supporto il contributo musicale del violoncellista Francesco Canfailla che col suo strumento ha sottolineato la dissonanza, la stortura, l’inumanità, spesso richiamando l’attenzione del pubblico, quasi distratto dall’ilarità amara, a tratti fantozziana, scatenata, non senza sorpresa, dal romanzo. Forse una novità per gli attori di Archivio Zeta nel ruolo di vestali del Teatro di Marte, a dimostrazione della loro spiccata ed inconfondibile abilità analitica ed interpretativa.

LA MONTAGNA INCANTATA E L’EFFICACE IMPIANTO DRAMMATURGICO DI ARCHIVIO ZETA

La selezione drammaturgica di Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, rispettivamente anche in scena nei panni di Madame Chauchat e Luigi Settembrini, ha dimostrato ancora una volta la loro capacità di cogliere le trame più e meno nascoste dell’opera, capaci di legare il passato al presente e il qui al lassù. Una sorta di hic et nunc universale nel quale lo spazio diventa misura del tempo nei movimenti lenti e geometrici dei personaggi che dilatano la nostra percezione del fluire incessante degli istanti. La definizione stessa dell’unità di tempo è soggettiva, lassù dove 7 sono i minuti per misurarsi la febbre – con un termometro che all’occorrenza è lancetta impazzita dell’orologio che segna il flusso della vita – mentre nessuno ragiona per intervalli temporali inferiori alla settimana. La ciclicità temporale, nel romanzo scandita anche dai pasti ripetuti che nella drammaturgia di Archivio Zeta sono quasi scomparsi, si esaurisce in una ritualità a tratti svuotata per la quale solo la fede, in ultima istanza, può portare alla guarigione. La prospettiva è infine un’eternità che si chiude su se stessa, imprigionando corpo, mente e anima. Un vigile Hans Castorp non resterà estraneo a tutto questo, protagonista, con il suo copricapo “fatto di letteratura”, di quel percorso di formazione che si realizzerà compiutamente nella seconda parte dell’opera.

LA MONTAGNA INCANTATA – Cimitero Militare Germanico Passo della Futa

THOMAS MANN E LA NECESSITÀ DI RESTARE “PUPILLI DELLA VITA”

Come sosteneva Italo Calvino, “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” e la prima del progetto dedicato a LA MONTAGNA INCANTATA ne è la dimostrazione. A tal fine l’operazione di Archivio Zeta assume un’importanza centrale. Come la coppia Sangiovanni-Guidotti ha avuto modo di sottolineare anche negli incontri preliminari tenutisi presso la Biblioteca Ragionieri di Sesto F.no, riprendendo proprio l’autore, è impossibile misurare una grandezza della quale non sappiamo nulla, se non convenzionalmente. L’indubbia necessità di darsi dei punti di riferimento non deve però spingerci all’estrema categorizzazione, al forzato incasellamento per i quali si disperde il fascino delle mille sfumature dell’umanità. Come Hans Castorp, cerchiamo di restare “pupilli della vita”, senza perdere mai la capacità di domandare e di domandarsi, di criticare e di criticarsi, perché la tragedia che si prospettava in quel 1913 è di nuovo alle porte. E forse ci siamo già dentro ma l’assuefazione imperante ci accieca.

Riprendendo un filone teso a rivedere la traduzione oramai tradizionale dell’originale Die Zauberberg, non confidiamo nell’incanto capace di meravigliarci con i paesaggi incontaminati delle Alpi, ma teniamo invece gli occhi aperti perché quello stesso incanto può diventare ipnoticamente crudele. Dietro ogni risata ed ogni lacrima che l’ilarità e la commozione ci hanno provocati c’è tutto questo, come succede quando un grande capolavoro incontra una magistrale resa drammaturgica.

Visto il 6 agosto 2022

LA MONTAGNA INCANTATA

di Thomas Mann

drammaturgia e regia Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni

partitura musicale Patrizio Barontini

con Diana Dardi, Gianluca Guidotti, Pouria Jashn Tirgan, Giuseppe Losacco, Andrea Maffetti, Enrica Sangiovanni, Giacomo Tamburini

con la partecipazione di Antonia, Elio e Ida Guidotti

violoncello Francesco Canfailla

costumi les libellules Studio in collaborazione con Elena Fregni

tecnica Andrea Sangiovanni

cura delle relazioni Rosalba Ruggeri

foto di scena Franco Guardascione