La Grecia torna in scena

Andrea Porcheddu | 01/09/2018 | L'espresso Cultura

Dopo anni di crisi, lo stato economicamente disse! stato prova a ripartire.
Puntando tutto sulla sua storia, l’arte, il teatro, il cinema, la danza, un modello per tutti.

Atene è una capitale febbrile, che sperimenta e rischia.
E i prezzi ancora bassi favoriscono l’arrivo di artisti.

di ANDREA PORCHEDDU

NON È CERTO un caso che il primo ministro Tsipras sia andato a Itaca per sancire l’uscita delia Grecia dal ‘commissariamento’* dell’Unione Europea.
La scelta potrebbe sembrare retorica, la fine di un’Odissea contemporanea, ma non è così.
Perché i greci sono profondamente legati al proprio patrimonio culturale e, nonostante le ristrettezze, i tagli, le catastrofi naturali come il terrìbile incendio che ha devastato Mati, continuano a produrre spettacolo, danza, teatro, bellezza.
Anzi, se ce un contributo che questo paese, economicamente dissestato, può dare all’Europa è proprio nella cultura e nell’arte.
Ne è sicura Lydia Koniordou, prima donna Ministro della Cultura dopo la mitica Melina Merkouri, e una delle grandi attrici tragiche (il regista texano Bob Wilson l’ha definita ‘tesoro nazionale greco’): «In ogni momento di crisi, la cultura diventa una necessità: ne abbiamo bisogno, per comunicare, per dialogare, per ritrovare confronto e unione tra noi nelle diversità», dice: «Come immaginiamo il mondo in cui vorremmo vivere? Grazie alla cultura, all’arte, al teatro.
Per questo abbiamo attivato deifinanziamenti straordinari. Nel 2010, inmodo trauma tico, i fondi furono tagliali, ora ritornano.
E ho fatto in modo che restino confermati anche in caso di cambi di governo».

Koniordou lancia un segnale all’Unione Europea: «È interessante come la storia faccia spirali, eterni ritorni. Duemila e cinquecento anni fa abbiamo avuto un’in credibile esplosione di idee: la politica, la filosofìa, il teatro.
La percezione, lo spirito che univa tutto, erano le famose “D”: dialettica, dialogo, diversità e democrazia. Non c’era una sola verità, si scopriva la relatività della verità, grazie a Eraclito o ai Sofisti, e si passò dalla cultura della “famiglia”, dal clan, alla scoperta dell’indi viduo e dei suoi diritti. Oggi dobbiamo superare l’eccesso di individualismo per riabbracciare la cultura del “noi”. Tornare dal privato al pubblico. Capire che non possiamo fare a meno dell’Altro. La cultura greca, con lo strumento del dialogo di cui è maestra, può rilanciare la dialettica laddovec’è conflitto, l’ascolto dove c’è lo scontro, il confronto dove ce violenza».

I nuovi, informali, “ambasciatori” della cultura greca sono danzatori, registi, attori, coreografi, pittori. E le scene di tutta Europaedel mondo si tingono sempre più de) bianco e dell’azzurro. Così al cinema, ad esempio: se pure non possiamo dimenticare Theo Angelopolous, il grande schermo fa i conti con lo stile asciutto e visionario di Yorgos Lanthimos (e del suo ottimo sceneggiatore, lo scrittore EfthyrmsFilippou) o con l’ironia feroce di Alluna Rachel Tsangari.o con lo sguardo aguzzo di Alexandros Avranas, già Leone d’Argento per “Miss Violence,” Hanno successo, questi registi, ma tra loro non ce rivalità, anzi. Athina Tsangarì produsse il primo film di Lanthimos nel 2005, che ricambiò partecipando all’opera di debutto di Tsangari, “Attenberg”, presentata alla Mostra del Cinema di Venezia, dove quest’anno la regista presiederà la giuria della sezione Orizzonti.

I generi si mescolano, le visioni si intrecciano. Un cortocircuito significativo si registrò per l’inaugurazione delle Olimpiadi del 2004, quando lavorarono spalla a spalla molti dei nuovi protagonisti della scena greca e il percorso di Lanthimos si intrecciò con quello di Dimitris Papaioannou. Considerato un promettente pittore, autore di graphic novel, Papaioannou èoggi il paladino della danza europea.
Sarà al Festival Torinodanza con un doppio omaggio: la sua più nota creazione, “The great Tamer” (alle Fonderie Limone di Moncalierì, 20-22 settembre) dedicato a Persefone, e con la video istallazione “Inside”.
Anche grazie alla visionarietà di Papaioannou, la danza greca vive un momento di vivacità.

E i festival ne danno conto: il Romaeuropa Festival ospiterà il giovane e potente Christos Papadopoulos, star della coreografia internazionale.
Si avverte un diverso respiro, un incoraggiante fermento: Atene è una capitale febbrile dove si sperimenta, si rischia, si va in scena anche sfidando condizioni economiche non garantite.
Pare proprio che la città stia diventando la nuova capitale culturale europea: interi palazzi disabitati da occupare, prezzi ancora bassi, il “carattere” scontroso e accogliente della città, favoriscono l’arrivo di artisti di tutto il mondo.
Come aveva intuito Documenta di Kassel creando un’edizione ateniese dell’esposizione. E il pubblico risponde: affollando grandi teatri e piccoli spazi. Perché alle spalle della rinascita culturale, c’è un sincero entusiasmo per il teatro, la danza, la musica, ai quali i greci non hanno rinunciato mai, nemmeno nei momenti più aspri Nella capitale vanno in scena oltre 1500 spettacoli a stagione, sempre affollati Lo racconta Diana Dimadi, drammaturga residente alla Onassis Foundation: «I finanziamenti pubblici sono ridotti, pari a un milione e trecentomila euro circa, da dividersi tra 81 gruppi teatrali.

La Fondazione Onassis, dal 1975, ha supportato il paese nei campi dell’Educazione, della Cultura e della Salute. Dal 2010, con la nascita dell’OnassIs Cultural Centro, abbiamo cercato di promuovere la cultura contemporanea greca nel mondo.
11 ruolo delle Fondazioni private, come la Niarchos Foundation, è centrale.E i risultati non mancano. Il lavoro degli artisti grecista diventando sinonimo di originalità e di fantasia.

Se ne sono accorti al Piccolo Teatro di Milano, che ospita la rassegna “La Grecia in Scena”, o al Teatro Nazionale di Genova interessato a contemporanei come Dimitri Dimitriadis, e all’ERT/Emilia Romagna Teatro che si apre al lavoro di Therzopolous.
Lo scorso luglio, al Festival delle Colline Torinesi e al festival Inteatro di Polverigi è stato apprezzato Euripides Laskaridis, allievo di Papaioannou, dal 2017 al Theatre de la Ville di Parigi e in tournée nei maggiori teatri Già, il teatro.
Si riparte da qui E La tragedia è ancora terreno di creazione e scontro, alla base delia civiltà.

Da Romeo Castellucci con la memorabile “Tragedia Endogonidia” al belga Jan Fabre, col suo rutilante “Mount Olympus”, di 24 ore di durata, le tragedie sono costantemente reinventate: Emma Dante ha presentato a Siracusa e Pompei “Eracle” al femminile; i veneti Anagoor hanno suscitato ovazioni con l’algida rilettura dell’Orestea d» Eschilo; nell’aspro scenario del Passo della Futa, un gruppo appartato come Archivio Zeta torna sulla figura emblematica di Antigone, affrontato anche da Olivier Py al Festival di Avignone.
Vale la pena, infine, segnalare il “gemellaggio” tra Siracusa e Epidauro: l’Edipo a Colono”, diretto da Yannts Kokkos, prodotto in Sicilia con attori italiani, ha da poco chiuso la stagione del Festival greco

L’arte povera ci salverà
colloquio con THEODOROS TERZOPULOS

è considerato uno dei maggiori registi al mondo, il greco Theodoros Terzopouios.
Maestro d’attori il suo metodo di lavoro, improntato sulla profondità del respiro, dà straordinaria forza e presenza agli interpreti Terzopouios è originario di un piccolo villaggio della Piena, alle pendici del Monte Olimpo, a Nord della Grecia, ma la formazione artistica è avvenuta in Germania Est agli inizi degli armi Settanta, in quel Bediner Ensemble che fu di 8ertolt Brecht e Hemer Muller.
Fonda il suo Attis Theatre nel cuore di Atene, nel 1985, e da allora non ha smesso di interrogare le fondamenta della tragedia e di ricercare nuovi linguaggi scenici, collocandosi ai vertici di una contemporaneità creativa assieme a Bob Wilson o Pina Baush.
In Italia abbiamo imparato ad apprezzarlo ai Festival Vie di Modena, che ha ospitato alcuni spettacoli e alla collaborazione con EmifiaRomagnaTeatro.
Lo incontriamo a Delfi, in occasione di un convegno e lui dedicato, organizzato dada Fondazione Onassis e dallo European Cultural Center, con studiosi e artisti provenienti dalia Germania o dalla Cina, dagli Stati Uniti o dall’Inghilterra.
Risponde con un filo di voce, mescolando al greco parole In italiano che parla in modo curato, gentile.

Nel suo percorso si avverte un costante ritorno allo origini: non ha mai rinnegato la sua provenienza, semplice e periferica.
È legato alla sua terra?
•Cerco sempre di tornare alle radici alle origini.
Ma la mia non è un’azione archeologica, di scavo, né geografica, semmai di approfondimento, di studio delle origini.
Mi muovo in uno spazio ontologico della profondità.
La mia ideologia, la mia prospettiva filosofica, la mia stessa vita: tutto deve essere radicato.
Non mi interessano categorie estetiche, vorrei anzi che il mio teatro superasse li concetto stesso di teatro.
Cerco anche di andare oltre l’idea di spettatore come semplice ricettore delio spettacolo, e di coinvolgerlo in un’indagine che abbraccia la società.
Il tempo, la storia, la politica.
Sono stato un emigrante, sono andato a lavorare in Germania, dove ho conosciuto il teatro di Heiner Muller.
I miei genitori, 1 miei nonni, I miei bisnonni erano emigranti.
Il concetto di emigrazione è nel mio Dna.
Quando mi chiedono quale sia la mia terra rispondo il viaggio.
Mi muovo da un paese all’altro: ricerco, e la ricerca è la mia patria».

Forse per questo nel suol spettacoli si ascottano tante lingue diverse: gii attori parlano il greco, il russo, il turco, il francese o l’italiano…
•In questa scelta c’è la preoccupazione per la frammentazione del mondo di oggi.
Tutto è politica: questa è la mia biografìa, questa è la mia educazione brechtiana.
Politico e ontologico s’intrecciano e si mescolano: inseguo una politica della profondità».

Ha sempre detto che esiste uno strotto ‘«game tra Eros e politica.
Ce lo spiega?
•Il valore politico di Eros è la libertà.
L’Eros è uno strumento politico, di rivoluzione.
Se i popoli non sono liberi non possono amare, e se non possono capire l’importanza di Eros sono in una prigione.
Non ci sarà mai una volontà di rivolta o di rivoluzione senza amore.
Allora, Il politico può identificarsi con l’erotico.
L’incontro riello sguardo con l’Altro, il guardare negli occhi l’altro, può portare a due possibili scelte: o un Eros ontologico, oppure, letteralmente, una vera e propria guerra.
Sta a noi decidere».

A Delfi si è riflettuto sui ritomo di Dioniso.
Ma chi è Dioniso?
•Dioniso è il mio Dio.
Non è una questione metaforica.
Quando esclamo “oh dio*, mi riferisco a Dioniso.
Tutti gii uomini sono devoti a qualcuno o a qualcosa: io ho scelto il dio dell’energia, del teatro, della libertà, della rivoluzione, della follia.
E questo ha reso migliore la mia vita.
Non avrei accettato un dio al quale ci si debba inchinare: mi avrebbe fatto diventare fondamentalista.
Voglio invece il dio della rivolta, della lotta, il dio dell’anarchia: e Dioniso, nella sua dimensione divina e umana, è dentro di noi*.

Per accostarsi al dionisiaco nasce il teatro, che è rito o mito.
Sono, queste, due parole compromesse, consunte dalla civiltà occidentale.
Che valore hanno?
•È la nostra epoca a essere compromessa, non le parole.
Accostarsi ai mito, avere la capacità dì vedere la profondità del mito, significa dialogare con l’oscurità.
Il mondo occidentale ne ha sempre avuto timore, e anziché confrontarsi con l’oscuro, ha scelto di costruire belle Theodoros Terzopouios favole.
Tutto ciò ha generato effetti funesti: quando cerchi di abbellire, di negare l’aspetto nascosto del mito, nasce il fascismo.
Per avvicinarci alla profondità del mito, abbiamo bisogno del rito.
L’Occidente invece ha appiattito i miti e ha svilito il rito.
Ha mandato in esilio Dioniso per far spazio ad Apollo: ha letto i miti con il bello apollineo.
E quell’idea di bellezza, di purezza, si declina in visioni aberranti, come è stato per la “razza perfetta” voluta da Hitler.
Allora il dionisiaco, la sua oscurità, il mistero sono gli aspetti del mito con cui dobbiamo tornare a confrontarci.
La condizione per vedere il mito è il buio: dobbiamo far luce all’oscuntà.
affrontandola.
Questo è quanto accadeva nella Grecia del V secolo, permettendo la crescita delle arti e della democrazia».

Cosa succede in Grecia oggi?
•Non credo al concetto di Patria come confine, spazio chiuso.
L’idea di Patria ha una dimensione universale.
È quel che perseguo e cerco di trasmettere attraverso il teatro.
Ma una simile prospettiva non abita più la nostra Europa.
Il dibattito sulla Grecia e l’Unione Europea non mi interessa, perché perde di vista la prospettiva più ampia, del nostro paese come ponte tra Oriente e Occidente.
Rischiamo di “imitare” gli europei: facciamo finta di essere europei e dimentichiamo quanto siamo un popolo e un paese orientale.
Voglio ricordare però qualcosa che è chiara a tutti: in una cnsi politica ed economica l’arte fiorisce, sa reagire.
È successo in passato e sta accadendo ora.
Abbiamo attraversato stagioni in cui esistevano grandi finanziamenti per l’arte e il teatro: non si creava nulla.
Oggi, con la crisi, con meno risorse, l’arte è più reattiva.
È la famosa ‘arte povera”‘ Certo, facciamo teatro e arte con pochi elementi: semplici scenografie, qualche oggetto, voglio omaggiare la lezione del mio amico Yanms Kounellis: torniamo a concentrarci sul corpo dell’attore, la voce, la presenza: gì» elementi che rimettono il corpo al centro di una nuova idea umanista.
L’Umano deve prendere posizione: m scena e nella vita».

Heiner Muller scriveva dalle “macerie’* dell’Europa, analizzava la fine di un’epoca.
Con il suo teatro, lei sembra ricostruire una storia, inventando una nuova ferma di tragedia, antica e contemporanea.
•Heiner era il mio caro maestro e amico.
Quella sua disperazione nasceva osservando la Germania orientale, avvertendo il senso di colpa tedesco, io.
per la mia fede dionisiaca, ho 3 seme dell’ottimismo, il corpo dì Dioniso si frantuma per essere rigenerato, cosi come il mondo, la Storia, si frantumano per essere ricostruite.
Dioniso ci dice che tutto si ricompone.
Apre la strada all’inatteso: è ii nodo delle tragedie.
Viviamo finalmente un cambiamento, m questo processo di fine che non finisce mai».

A.P.

L’Espresso 2 settembre 2018