Eschilo nel Cimitero Militare della Futa

Simone Siliani | 12/08/2011 | Il Nuovo Corriere

di Simone Siliani

ELETTRA Che preghiera, la mia, agli dèi! Sarà religiosa? CORO Di compensare chi ti odia col male? Dubiti?
ELETTRA: Contro gli altri, i nemici, io dico: che sorga il tuo giustiziere! Chi diede la morte, sconti il giusto castigo: la morte! Questo io metto al centro del mio buono scongiuro, e contro di quelli pronuncio il mio brutto scongiuro Tragedia della vendetta e del dubbio, Coefore di Eschilo, secondo atto della trilogia dell’Orestea (458 a.C., l’unica trilogia del teatro greco pervenuta sino a noi), va in scena al cimitero militare germanico della Futa ad opera di Archivio Zeta, la compagnia che da anni “abita” questo luogo della memoria e questa marca di confine fra Toscana ed Emilia Romagna, per la regia Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni. Una messa in scena straordinaria, come ormai siamo abituati a vedere qui alla Futa da quasi 10 anni a partire dal Progetto Linea Gotica, con la splendida partitura sonora di Patrizio Barontini e un pregevole lavoro sul testo compiuto insieme a studenti bolognesi.

Ma è camminando fra le tombe dei 31.000 militari tedeschi che la tragedia di Eschilo assume tutto il suo attuale significato e si pone a noi come opera contemporanea. Dove altro dovremmo provare, pur annacquato dal trascorrere dei decenni, un impulso di vendetta tradotto in giustizia se non nel cimitero dell’esercito invasore i cui soldati, “i volenterosi carnefici di Hitler”, hanno distrutto tante vite innocenti in queste zone? Eppure prevale la pietas, il muto rispetto per quei tanti giovani, nemici certamente, che lontano dalla loro terra e dai loro affetti, hanno perso la vita. E’ la nutrice del dramma di Eschilo che qui prende il sopravvento: l’unica che prova il sincero dolore della perdita alla notizia, falsa, della morte di Oreste e che poi già indovina il disastro esistenziale che, compiuto la “giusta” vendetta, si abbatterà su Oreste. Nella incrollabile certezza della responsabilità storica dell’esercito nazista, in questa distesa di tumuli tutti uguali, il dubbio non può non prenderti circa i destini individuali, la possibilità di dire disobbedire agli ordini superiori che avrebbero evitato tanto dolore durante il secondo conflitto mondiale. E non è forse questo il dubbio che assale Oreste dopo che ha compiuto la sua vendetta e la giustizia degli Dei? E’ qui la forza di quel ritornello, “I morti uccidono i vivi”, che accompagna la tragedia: i morti, vittime della giustizia, trascinano in un gorgo di dolore e dubbio i vivi. Le Erinni già tormentano Oreste che troverà solo nel terzo atto della trilogia, le Eumenidi, la pace del processo e della giustizia umana. Ma Coefore resta tragedia del nostro tempo, ancora così intriso del trionfo della vendetta che chiamiamo giustizia.