Dialoghetto teatrale di ferragosto 2014, quasi una fantasmagoria

Massimo Marino | 14/08/2014 | Corriere di Bologna / BOblog

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Dialoghetto teatrale di ferragosto 2014, quasi una fantasmagoria

A. Buongiorno!
B. Finalmente sveglio!
A. È ferragosto. Stanotte ho fatto tardi, a girare a guardare i ragazzi che accendevano falò sulla spiaggia, che scappavano dai vigili che smantellavano i bivacchi, e loro li ricostruivano da un’altra parte… E poi il bagno di mezzanotte, i fuochi d’artificio, il saluto al solleone che inizia a declinare verso l’inevitabile autunno…
B. Le discariche a cielo aperto, i centri storici che crollano rivitalizzati da infernale musica da discoteca e fritti di pesce da enterocolite… Da qualche parte è piovuto sempre…
A. Sei il solito criticone. Qui, al Sud, ci si scioglie dallo scirocco.
B. Come tutta l’Italia parli solo di meteorologia. E di cucina. Sei un essere da apericena. Sei pronto per scodinzolare come un cagnolino alle magnifiche sorti progressive di Eataly. Siamo quello che mangiamo?
A. Sei proprio un criticone.
B. E tu un inguaribile ottimista…

L’AUTORE. Mi ronzava nella mente il dialogo dei due personaggi che avevo usato nei dialoghetti dell’anno scorso. Correvo in un bosco. Il mirto nel sole appariva già a tratti decorato con le sue bacche meravigliose. Il lentisco accartocciava nell’ombra le foglie. Un serpente sguisciava. Erano le sei di mattina. Il ferragosto, l’antica festa, nasceva negli occhi assonnati di chi aveva trascorso la notte insonne. Si accalcavano gli argomenti di cui far discutere i miei due personaggi, chiamati finora con una semplice A e una povera B, ribattezzati, dopo aver visto il formidabile Gli ultimi giorni dell’umanità di Archivio Zeta al Cimitero militare germanico della Futa, con i nomi dei due contendenti inventati da Karl Kraus per chiosare l’orrore della odierna guerra eterna, rivelato dal primo conflitto mondiale: il criticone e l’ottimista. E mi appariva un terzo fantasma, il nonso.

Scorreva nella mente un anno teatrale orribile, in cui la crisi sembra aver prosciugato la creatività. Dove si sono mosse, in modo tutto da decifrare, strutture, per lanciarsi in nuovi assetti o per chiudersi nel tentativo di controllo di un settore moribondo.

Teatro Valle occupato

CRITICONE. Vedo festival che si replicano sempre uguali, o che accumulano cose per stupire con la moltitudine, per non rivelare che dovrebbero dichiarare bancarotta e che non hanno la possibilità di programmare, di sviluppare, di curare giardini antichi o nuovi orti di erbe fragranti. Vedo giovani che invecchiano in fretta, ripetendo gli errori giovanili o che sognano di rimanere forever young, sempre modaioli.

OTTIMISTA. Vedo teatri che avevano perso la rotta rilanciarsi con nuovi organici e interessanti programmi, come il Teatro di Roma. Vedo rinnovarsi direzioni con bandi pubblici.

CRITICONE. Vedo quegli stessi luoghi gettare fumo negli occhi di nomi grandi nel passato, e vorrei verificare quanto sapranno cogliere la necessità del teatro di stare nel futuro, nella contraddizione. Vedo bandi pubblici manovrati dalle solite vecchie figure attaccate alle poltrone, senza controllo democratico.

OTTIMISTA. Diciamo che il teatro è un fenomeno autocratico? Che la democrazia, che certe volte vuol dire pure anarchia, non giova all’arte? Vedi come migliora il nostro paese da quando è guidato da un capo del governo che sa ciò che vuole e cerca di ottenerlo!

IL NONSO. Diamo tempo al tempo? Ascoltiamo il maturare delle cose?

CRITICONE. Il teatro ha inventato la democrazia come scontro, come lotta senza quartiere. Ancora i Greci e Shakespeare. Lotta immaginale. Oggi il teatro viaggia verso l’acquiescenza, il vi-spiego-io-come-sono-le-cose dei narratorisotutto e il conflitto sembra spostato al piano della polemica su quella che definiscono realtà. Provano a dimostrare ogni cosa e il suo contrario, guerreggiando a livello verbale in talk show e reality show, agognando che ogni cosa cambi, che si ristabilisca la vecchia buona verità, perché nulla cambi.

OTTIMISTA. Ma almeno la questione dell’occupazione del Teatro Valle è stata risolta con onore; è tornata la legalità ed è stato riconosciuto il valore dell’esperienza di teatro a partecipazione sviluppata dagli occupanti.

IL NONSO. Io forse non mi sarei fidato tanto di assicurazioni generiche da parte di Teatro di Roma e Comune.

CRITICONE. Quello del Teatro Valle è stato uno dei pochi tentativi di fare innovazione culturale senza uso di denaro pubblico. Hanno dato un’anima a un posto che per tre anni le istituzioni hanno abbandonato. Come notava Andres Neumann, un vecchio saggio impresario, o impresario saggio, è un modello che gli enti pubblici avrebbero dovuto studiare e imitare. Per il momento è stata ristabilita la legalità del controllo amministrativo, dei consigli di amministrazione eletti non si sa con quale trasparenza, spesso con il bilancino politico, degli assessori che si arrogano il diritto di definire la vita culturale. L’amministrazione dovrebbe ben amministrare, specie in una capitale abbandonata alla deriva culturale… E poi è sempre ancora in corso, mi pare, il tentativo di far tacere l’unica voce originale nata negli ultimi anni, una mosca bianca, nientemeno che una rivista, su carta, composta di sguardi vari, divergenti, i “Quaderni del Teatro di Roma”

IL NONSO. E del caso Arena del Sole a Bologna cosa diciamo…

“La Ferita / Logos. rapsodia per Volterra” di Archivio Zeta – ph. Franco Guardascione

L’AUTORE Qui il dialogo a tre si è fermato. Nella mente ritornava il ritornello bolognese, tanto sentito nei mesi passati, da assessori e operatori: “lasciateci lavorare”. Non controllateci… Il caso è delicato… Aspettiamo di conoscere come si articolerà esattamente, in tutti i nodi, il progetto di Emilia Romagna Teatro. Che ambisce a diventare teatro nazionale. Già: e quali saranno i teatri nazionali, quelli di rilevante interesse culturale, i centri di produzione, eccetera? Come la nuova architettura si sovrapporrà al corpo vivo, parecchio sofferente, del teatro? Quante saranno le lotte al coltello?

Nel bosco, mentre correvo, mi apparve una parola…

OTTIMISTA. Dai, è ferragosto, basta con questi discorsi. Goditi il sole, che al Sud c’è.

L’AUTORE. …mi apparve una parola delicata, tra voci che non la volevano smettere di gridare, tra lemuri che facevano a gara a strattonarmi. Uno diceva: cerca di essere leggero. Un altro: un montaggio leggero, attraente, per il lettore: ritmo! basta pedanterie saggistiche. Chissenefrega. Quello di Punzo ormai è teatro borghese! L’altro osservava più sommessamente: sei un somaro che vuole fare il fenomeno. Teatro borghese? Che cosa vuol dire? Un altro ancora diceva: basta con la drammaturgia da premio Scenario, venti minuti di idee trascinati per un’ora con l’affanno. E ancora si sentiva: sì, i giovani ci stanno deludendo; ma quanti grandi teatri hanno investito solo qualche euro su di loro? Poi: nuova legge! Progetti! Monografie su scrittrici austroungariche critiche con addentellati politici e montaggi postmoderni, scaltriti e glamour, e peste lo colga a chi dice che sono noiosi, per un anno e più, sulle strade di un’intera regione. A colpi d’ascia. Bisognerebbe prendere tutto questo, meraviglia e ciarpame, a colpi d’ascia. La bellezza delle stelle, della notte, dei fiori: mette a tacere il conflitto umano? Capire nell’odio, nell’amore, contro la guerra, nella solitudine… Lottare con l’uomo…

Si sa: i fantasmi non sono educati. Nel frastuono, nella confusione, finalmente balzò davanti agli occhi la vecchia parolina immaginata. “Drammaturgia”: forgiatura delle azioni.

“Trois Agoras Marseille” di Virgilio Sieni – ph. Adrien Bargin

CRITICONE. Se tornassimo a drammaturgia?

OTTIMISTA. Tu, questa roba da tromboni?

CRITICONE. Drammaturgia come rigore. Come rifiuto della chiacchiera. Come azione significante. Come parola-cosa-gesto. Artaud e Pasolini. Come ripulsa di un teatro fatto di shock d’accatto, di facili trovate, di immagini rutilanti che perdono sempre la gara con quelle più potenti che ci avvolgono dai media.

IL NONSO: Siamo ormai immagine. Siamo interconnessione. Siamo 2.0. Siamo?

CRITICONE. Tornare al teatro di parola, contro ogni semplicismo decostruzionista. Ridare profondità alle cose. Dire che esiste il male ma che la bontà sopravvive e cerca di rendere almeno un po’ più abitabile il mondo.

OTTIMISTA. Tu? Buonista?

IL NONSO. Cos’è bontà? Cos’è il male?

CRITICONE. Combattere ogni giorno contro l’immagine, assumendone lo splendore inquieto, come fa Armando Punzo (altro che teatro borghese, della borghesia, della città normalizzata, lui che vorrebbe farla esplodere, la città dell’ordine, che santifica i criminali, i margini, perché nel fondo sta la bellezza, da dove solo si può guardare verso l’alto, l’altro). O come fa Castellucci che trasforma la natura labirintica della figura in interrogazione profonda alla materia, alla psiche, a noi e a una società rassegnata a non interrogarsi, a non stupirsi e dannarsi più.

OTTIMISTA. Ora scodelli i soliti nomi.

CRITICONE. Sì. Fino alla noia. Ci aggiungo, naturalmente…

OTTIMISTA …Virgilio Sieni

CRITICONE …Sieni, ossia lo splendore dei corpi in cerca di memoria e di possibilità. E la sfida alla contabilità della realtà di Daria De Florian e Antonio Tagliarini, la ricerca di un teatro folgorante, commovente, necessario (non so dire altrimenti, ora) di Massimiliano Civica, l’ironia e il graffio interiore di Claudio Morganti, la discesa all’inferno e l’ascesa al paradiso della voce della solitudine di Roberto Latini…

IL NONSO. Sei sclerotizzato tu o succede poco di veramente nuovo?

CRITICONE. E ancora: Martinelli con il suo Teatro delle Albe e Archivio Zeta. Ossia un teatro di parola ri-velato, che sfida la complessità dell’essere umano, perché diventa interrogazione dei luoghi, dell’immagine, disgregazione del conosciuto (della parola usurata, dei rapporti consunti), ricerca di orizzonti. Si fa sciamanismo nella figura nobile e contadina, bambina e vecchietta, occhilucentimanigrandi di Ermanna Montanari, il puer e senex, il passato il futuro il fiore le bacche di mirto la nebbia del mattino, la calla bianca l’abito rosso. Eccetera.

Amore, come soffia il vento tra le lapidi del Cimitero della Futa, meditazione sull’odio della guerra come negli Ultimi giorni dell’umanità, legami misteriosi, misterici, come nella Ferita per Volterra. Oltre ogni decostruzione, drammaturgia è tentativo di ricostruzione dei testi, mai rispettati, protocolli di una vita da scoprire antica e reinventare. Per ripensare, risentire l’umano. E allora il teatro…

Ferragosto, mare

L’AUTORE (o ciò che si finge tale). In questo rutilare, mentre le auto si mettono in fila per entrare negli stabilimenti balneari, per conquistare vette altopiani e malghe, mentre sulle griglie e nelle cucine arrostiscono pezzi di animale, a milioni, mentre il cazzeggio si fa più cinguettante e odioso e la musica più battente, mentre sorge il disgusto per un pensiero acquiescente e tutto uguale e per la critica che si gode rituali sodali, compiaciuta della propria imbelle intelligente minorità, apparvero, ancora, mentre le altre voci continuavano a baccagliare in sottofondo, queste frasi, che si annotano solo per chi ha avuto la forza di arrivare fin qui, come una promessa che questo dialoghetto chiude una fase.

Novizi monaci buddisti in Birmania – ph. Ermanna Montanari

IL NONSO. Compito della critica è fotografare, inventare, smontare le definizioni, dare parole alle cose e ai movimenti e rifuggire le cristallizzazioni. Oggi è forse giunto il momento di sottrarsi alla bulimia della scrittura e della comunicazione che ha segnato questa fase del movimento di rinascita critica, soprattutto grazie ai blog e ai siti web? È l’ora di darsi profondità piuttosto che estensione e visibilità? “Tornare agli studi e agli studioli”, potrebbe essere lo slogan? Smettere l’intervento continuo e dedicarsi ad analisi serie, approfondite, perfino tormentate?

Abbandonare il web? Tornare alla penna, al rovello, alla meditazione? Smettere la catalogazione e aprire il tempo della concentrazione, della cogitazione, della contemplazione, della conoscenza?

(Forse)

Le foto di apertura e di chiusura sono da “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Archivio Zeta da Karl Kraus – ph. Franco Guardascione