Archivio Zeta a Villa Aldini con la sofferenza di Dostoevskij – La compagnia in scena con «Il volto»

Massimo Marino | 17/08/2021 | Corriere di Bologna

Fino a che punto può arrivare la sofferenza inflitta dall’uomo all’uomo e quanto si può sperare in un mondo nuovo con i venti di tempesta che ci circondano? Sono le domande radicali, essenziali di Dostoevskij, che Archivio Zeta riprende nello spettacolo Il volto, ispirato alla vicenda biografica dell’autore russo e a uno del suoi romanzi più noti, L’idiota. Da domani a domenica, sempre alle 18, torna a villa Aldini dopo un’inaspettata parentesi al Cimitero militare di guerra germanico del Passo della Futa. La compagnia, ormai bolognese, ha rappresentato per anni i propri spettacoli estivi in quel contesto unico, che parla di furia della guerra e di silenzio finale, raccogliendo le tombe di più di 30 mila soldati morti nel secondo conflitto mondiale. L’anno scorso a causa del Covid lo spazio era stato negato. Quest’anno Il volto vi è tornato per poche recite, intorno a Ferragosto. Lo spettacolo è da vedere assolutamente: entra radicalmente nel mondo spirituale aspro e complesso dello scrittore, dialogando nello stesso tempo con l’ambiente. Su un pratone viene rievocata la mancata fucilazione di Dostoevskij, accusato di terrorismo dalla polizia zarista, portato sul luogo dell’esecuzione e graziato proprio mentre aspetta le pallottole della fucileria. Un’esperienza traumatica. In un luogo chiuso (nella chiesa a villa Aldini, nella cripta al Cimitero della Data) si narra del Cristo morto tumefatto dipinto da Hans Holbein il Giovane, così lontano dalla serenità di altre immagini del volto del Cristo morto, segnato da sofferenza, ingiustizia, tortura. Si discute di violenza e di soprusi contro l’uomo, evocando con grandi teli teatrali bianchi prima il paesaggio innevato di San Pietroburgo nell’estate torrida emiliana, poi richiudendosi in un luogo concentrato come una sala di anatomia, con un corpo disteso su un letto di marmo, un altare. Quindi lo spettacolo di nuovo si distende su ampi panorami, con l’apparizione di un angelo, sulla vallata o sulla città a seconda del luoghi, e fa volare con la musica di Patrizio Barontini eseguita live alle percussioni da Luca Ciriegi. Fa scendere e salire nella luce del tramonto che indurti, tra odori di erba, dl menta, di vento, fino alla visione dall’alto del Sacrario, alla Futa, e della città come icona lontana nel ritorno nello spazio davanti a villa Aldini, shakespeariano «gran teatro del mondo», arena e lente di ingrandimento per far risaltare passioni e tormenti. Evoca una pestilenza, la distruzione di una civiltà malata, che forse potrà salvarsi solo grazie al sorriso di una bambina, alla sua ingenuità che chiede un mondo nuovo, un futuro non marchiato dal segno del Male e dalla violenza.

Ma.Ma.