AL PASSO DELLA FUTA ARCHIVIO ZETA PROSEGUE IL CAMMINO CON THOMAS MANN

Mario Bianchi | 10/09/2023 | Krapp's last post

QUEST’ESTATE ENRICA SANGIOVANNI E GIANLUCA GUIDOTTI HANNO PRESENTATO LA SECONDA PARTE DELLO SPETTACOLO INIZIATO NEL 2022

L’anno scorso, all’incirca di questi tempi, c’eravamo lasciati al Passo della Futa, sull’Appennino tosco-emiliano, al Cimitero militare germanico, ripromettendoci di dare conto ai nostri lettori della seconda parte del progetto della compagnia Archivio Zeta, che ha coraggiosamente voluto ambientare in questo luogo ricco di forti suggestioni “La montagna incantata”, il famoso romanzo di Thomas Mann iniziato prima della Grande Guerra e terminato nel 1924.
E dunque eccoci puntualmente qua a narrarvi il continuo dell’avventura, che vede protagonista Hans Castorp, giovane ingegnere navale di Amburgo, giunto a Davos, al sanatorio Berghof di Davosplatz, per visitare il cugino Joachim, militare di carriera, internato nel sanatorio per curarsi dalla tubercolosi.

Con felice intuito, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, che ne hanno curato la regia e la drammaturgia, hanno infatti trasportato il sanatorio e le sue atmosfere claustrofobiche proprio qui in un luogo così misterioso e sacro, che racchiude più di trentamila soldati tedeschi, nostri nemici, morti nella seconda guerra mondiale, e sepolti sotto semplicissime pietre tombali.
Ci siamo tornati ancora, come i tanti comuni spettatori, che ogni volta, dopo un lungo viaggio dalla pianura, ci arrivano per assistere ad uno spettacolo unico nel suo genere, in cui, questa volta, un testo capitale della nostra cultura viene offerto con grande adesione di intenti.

Già nella prima parte avevamo conosciuto Hans (Giacomo Tamburini), che giunge appunto a Davos per trovare il cugino Joachim (Pouria Jashn Tirgan), con l’intenzione di fermarsi sole tre settimane ma, che per l’insorgere di una febbre improvvisa, si deve intrattenere più a lungo.
Tra gli altri degenti che avevamo visto distesi sui rispettivi lettini, ci eravamo affezionati alla seducente Madame Clowdia Chauchat (Enrica Sangiovanni), di cui presto Castorp si invaghisce, e l’umanista, letterato ed enciclopedista Lodovico Settembrini (Gianluca Guidotti), che diverrà una specie di maestro per il protagonista.
Tra giornate di inedia assoluta, mescolate ad altre pervase di discussioni filosofiche, la prima parte del progetto di Archivio Zeta si concludeva, al calar del sole, alla sommità del Memoriale, nel bel mezzo del Carnevale, tra figure enigmatiche che rimandavano a Depero, con Clowdia che, irraggiungibile, stava per uscire dalla Montagna incantata per tornare al mondo di laggiù. Nel medesimo tempo Castorp stava comprendendo come questo sentimento fosse intimamente collegato alla malattia che man mano lo stava invadendo.

In questa seconda parte facciamo conoscenza con un altro personaggio d’eccezione, il gesuita Leo Naphta (Giuseppe Losacco), fautore del pensiero nichilista, le cui considerazioni vanno subito a cozzare contro quelle, prettamente razionaliste, di Settembrini.
Hans, vedendo che Settembrini ha finalmente un valido contraltare filosofico, mette ancor di più in pratica il binomio guarire/erudire, partecipando con grande interesse alle infinite discussioni dei due intellettuali, mentre suo cugino Joachim, sempre più insofferente all’inedia del sanatorio, decide in tutta fretta di tornare nel mondo di laggiù per fare il soldato, andando contro il parere dei medici.

Castorp si dà intanto anche allo sci, e durante una bufera di neve – tra sogno e realtà – gli appaiono contrastanti e misteriose visioni, rivelatrici della sua personalità in costante mutazione.
Purtroppo il cugino, ancora ammalato, ritorna poco dopo a Davos per morire, così come ritorna Clowdia, accompagnata dal magnate olandese Mynheer Peeperkorn (Andrea Maffetti), di cui il giovane subisce nel medesimo modo il fascino. Mynheer, spregiudicato amante della vita e del vino, dai discorsi pomposamente inconcludenti e che ha in dispregio la cultura, ha molta influenza su Castorp, che pare trovare in lui nuova linfa vitale rispetto al continuo contrasto dei due precedenti maestri. Ma il magnate poco dopo finirà inspiegabilmente per suicidarsi.

Più difficile e difficoltoso ci è parso mettere in scena questa seconda parte del pregnante testo di Mann, così pieno di concetti, e meno adatta della precedente ad essere trasposta in modo visionario, vista poi la davvero accurata ambientazione, risolta nella prima parte già in modo immaginifico e appagante.

Dello spettacolo ci resteranno in mente molti passaggi dislocati in modo sapiente sia tra le tombe, sia all’ombra del memoriale: le discussioni tra Settembrini e Naphta, la morte dì Joachin su una semplice barella, la sciata visionaria di Castorp tra visioni consolatorie e incubi, l’arrivo intriso di ironica sostanza della modernità con il grammofono, la seduta spiritica della giovane medium Ellen Brand (Diana Dardi) e ancora l’approssimarsi della guerra, che caratterizzerà l’ultima parte del progetto, con la partenza di Castorp da Davos.
Troppo lunga e ripetitiva, invece, ci è parsa la scena che vede protagonista Mynheer Peeperkorn, pur nella complessità dovuta al personaggio, che però secondo noi appesantisce a dismisura il lineare e immaginifico rapido fluire degli altri avvenimenti.

Ammirevole, insieme a quella dei due maestri di Archivio Zeta, la resa artistica dei giovani protagonisti di questo affascinante progetto, che è riuscito a donarci tutte le atmosfere e la complessità di un vero e proprio monumento della nostra civiltà, ancora capace, cento anni dopo, di parlarci profondamente di un mondo assai simile al nostro, contrassegnato dalla malattia e dalla guerra.