DA RICORDARE L’AGAMENNONE ANDATO IN SCENA AL PASSO DELLA FUTA

AGAMENNONE_ante_2Recita un celebre paradosso di Mark Twain: “L’inverno più freddo che ho patito è stata un’estate sulla Futa!”. Battute a parte (lo scrittore americano si riferiva in realtà a San Francisco), c’è voluto del coraggio, l’altra sera, a resistere alle folate di vento gelido che si abbattevano sul Cimitero Militare Germanico al Passo della Futadurante l’ultima rappresentazione dell’Agamennone di Eschilo, messo in scena da Archivio Zeta.

Ma ne è valsa davvero la pena perché lo spettacolo ideato dai registi Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni ha convinto ed emozionato gli eroici spettatori imbacuccati in vestiti autunnali, inediti per la metà di agosto. Si può ben dire che la scommessa di puntare su questa inconsueta location è stata vinta e dopo che la compagnia ha portato “a svernare” l’Agamennone al caldo sole di Segesta, l’appuntamento da segnare in agenda è per la prossima estate con la seconda parte della trilogia, ovvero Le Coefore.

Al termine del lungo viaggio che mi ha portato dalla natia Brianza alle alture tosco-emiliane, ho intravisto la cuspide che annuncia da lontano il Cimitero Militare Germanico, e subito ho pensato alla rievocazione della staffetta di fuoco fatta da Clitemnestra al corifeo che le chiede il motivo di tanta sicurezza nella convinzione che Ilio sia finalmente caduta.

E proprio sul tema della novella che si propaga dall’Asia all’Europa i registi hanno costruito la loro versione della tragedia, fondata sulla nuova e attenta traduzione della grecista Monica Centanni. “Eccoti fiaccola!”, esclama la scolta ergendosi sulla porta, con la coperta stesa al vento come una bandiera, mentre alle spalle dell’attore le nuvole correvano veloci sull’Appennino.
Futa
Da spettatore sono rimasto ammaliato dalla bellezza austera di questo palcoscenico d’eccezione e salendo la scalinata che porta alle tombe dei soldati tedeschi (anche giovanissimi: ho visto la lapide di un diciottenne caduto nel ’44 e ho notato che solo poche tombe si distinguono dalle altre, per un vaso di fiori o una pianticella) è stato fin troppo semplice pensare al sottile confine che separa bellezza e tragedia.

Mi è tornato alla mente anche l’epitaffio di Eschilo, con il quale il poeta tragico aveva voluto ricordare soltanto la propria virtù bellica al servizio della polis, tacendo della carriera artistica. Ma la prima riflessione che mi è venuta è stata sulla scelta della compagnia di evocare la casa degli Atridi come tomba.

Ho poi pensato alla sacralità del luogo in cui ci trovavamo, perfetto richiamo alla sacralità del teatro greco, centro di ritrovo della comunità in cui la polis rifletteva su se stessa e sui propri drammi. Era davvero uno spazio teatrale il cortile del cimitero e noi spettatori, seduti su semplici panche di legno o addirittura per terra, eravamo “in contatto” con gli attori, tanto che non potrò dimenticare Clitemnestra inginocchiata davanti ai miei piedi.
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La tragedia si intitola Agamennone, ma protagonista assoluta è Clitemnestra, a cui il corifeo si rivolge sillabando con una forte pausa “re-gina”, quasi a volerne riconoscere il potere di effettivo governante, ma anche paventandone i piani futuri, al ritorno del sovrano.

È lei del resto a ordire e a ordinare, antenata e archetipo di Lady Macbeth, donna stretta nei panni di femmina, mentre il corifeo ha tempo di riflettere sul rapporto tra conoscenza e sofferenza: “con il dolore si impara”, traduce Monica Centanni la celeberrima sentenza (pietra angolare di tutta la tragedia greca) del “pathei mathos”.

Dicevo della rievocazione della staffetta di fuoco: i registi hanno scelto di rendere teatralmente il racconto della regina facendole srotolare un filo. E il primo segnale, scoccato come freccia dalle alture dell’Ida, giunge finalmente “qui, al passo” (e suscita una forte emozione il sovrapporsi del “luogo” sul “testo”).

Ma il filo della staffetta è anche la trama della trappola che Clitemnestra ha tessuto contro lo sposo e il colore rosso fa presagire il sangue della vittima da immolare a espiazione del sacrificio della figlia Ifigenia, immolata letteralmente sull’altare della ragion politica (anzi, militare), così come la camera della morte ricorda la mattanza, al pari della rete stretta su Troia che ha reso impossibile la fuga ai suoi abitanti.
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Il filo ricordava anche le reti dei pescatori e le vesti arcaiche degli attori facevano sentire che anche qui, nel cuore dell’Appennino dove ancora si nota la cicatrice della linea gotica, era il Mediterraneo a battere.
Gli attori hanno dimostrato una encomiabile capacità vocale, dato che hanno recitato senza l’ausilio del microfono in uno spazio aperto, riuscendo a sovrastare il rumore dello sventolio delle bandiere italiana e tedesca e l’instancabile sbattere delle cinghie sulle aste, quasi un metronomo che ha segnato tutta la durata della rappresentazione.
Saul Stucchi

PROGETTO LINEA GOTICA/ORESTEA
AGAMENNONE
di Eschilo
nella nuova traduzione ed elaborazione drammaturgica di Monica Centanni per Archivio Zeta

dal 31 luglio al 15 agosto 2010 ore 18.00
Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa (FI)

Replica: Calatafimi Segesta Festival (TP)
20 agosto al tramonto e 21 agosto all’alba

Regia: Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni
traduzione e drammaturgia: Monica Centanni
partitura sonora: Patrizio Barontini
Con: Enrica Sangiovanni, Gianluca Guidotti, Alfredo Puccetti, Franco Belli, Luciano Ardiccioni, Liyu Jin, Nicolò Todeschini, Lorenzo Viapiana

percussioni Luca Ciriegi
flauto Niccolò Livi
costumi e oggetti Tina Visco, Chiara Bandi
assistente alla regia Lorenzo Viapiana

Informazioni e prenotazioni:  334 95 53 640
www.archiviozeta.eu
Biglietto: 20 euro (10 euro ridotto under 18)
posti limitati, prenotazione obbligatoria

Foto di Franco Guardascione