Allestimenti a duello
15/04/2025
Gufetto
Leonardo Favilli
La montagna incantata – GENERALE
Preannunciata durante le repliche dell’ultimo capitolo al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa, si è compiuta all’Arena del Sole di Bologna la maratona teatrale dedicata a LA MONTAGNA INCANTATA di Thomas Mann a cura di Archivio Zeta (Premio UBU speciale 2024 per l’esperienza del Teatro di Marte proprio alla Futa). Dopo la trilogia (qui recensita su Gufetto), abbiamo assistito ad oltre 5 ore di una drammaturgia capace di annullare il tempo e di comprimersi dalle ventose vette appenniniche al palcoscenico mantenendo un respiro universale, eterno e senza confini.
LA MONTAGNA INCANTATA A CONFRONTO
Una cerimonia di consacrazione sia del testo sia della compagnia – entrambi già abbondantemente riconosciuti per il loro valore – cui abbiamo assistito col silenzio che si conviene, quello stesso che già ci era incusso dalle lapidi che ancora oggi grondano sangue, monito dall’alto per un’umanità cieca e sorda. Mettendo a confronto le esperienze vissute dal 2022 ad oggi in compagnia degli ospiti del sanatorio Berghof, vi proponiamo un “dialogo ad una voce con moderatore”. Protagonisti della “mia” chiacchierata sono stati il “maratoneta”, spettatore dell’opera completa alla Arena del Sole a Bologna, e lo “staffettista”, che ha invece seguito la trilogia al Cimitero Militare Germanico raccogliendo ogni anno da se stesso e dai colleghi il testimone dell’anno precedente.
DUE SCENOGRAFIE PER LA MONTAGNA INCANTATA

Moderatore (Mo.): Benvenuti e grazie per aver accettato questo invito al confronto. Dando per scontato che tutti conoscano già la trama del romanzo, rompiamo subito il ghiaccio. Per prima cosa mi pare evidente che le scenografie siano diametralmente opposte…
Maratoneta (Ma.): Senza dubbio. Però non c’è niente da fare: il teatro a teatro è tutta un’altra cosa! Tra palcoscenico, platea e palchi laterali, il pubblico è stato avvolto e avvinto in una scenografia puramente evocativa, in cui molti passaggi si sono svolti su un fondo bianco – fenomenologicamente coltre di neve, ontologicamente barriera impenetrabile per lo sguardo rivolto all’orizzonte. Il risultato è un effetto estraniante in cui il tempo è linea interminabile di punti adimensionali, attimi che ostacolano la percezione del flusso temporale in una visione concentrata esclusivamente all’hic et nunc. La stessa che accecava l’umanità incapace di accorgersi del baratro che andava costruendosi alle soglie di una guerra che la storiografia ha definito non a caso Grande. E l’oggi non appare molto diverso, purtroppo.
Staffettista (St.): Senza nulla togliere al teatro, un sanatorio sulle Alpi Svizzere è però meglio immaginato sulle cime dell’Appennino Tosco-emiliano dove il vento sferza le cime come modellandole tra il verde dei suoi boschi. In più ogni quadro ha una scenografia diversa in cui è la natura ad offrirsi agli occhi degli spettatori rendendo l’esperienza unica e intimamente personale. E non potrebbe esserci luogo più ideale per mantenere viva l’attenzione sulla catastrofe che incombe sui personaggi del romanzo. Lo sguardo non può evitare di incontrare quelle lapidi e provare un profondo sgomento e senso di impotenza per un presente che, come sostiene il mio collega, non ci promette nulla di buono. Tornando a noi, però, in termini di pathos, una tale scenografia naturale lascia meno spazio all’immaginazione ma è nondimeno potentemente evocativa e fortemente propedeutica alla drammaturgia.
LA MONTAGNA INCANTATA: GLI ADATTAMENTI DRAMMATURGICI DI ARCHIVIO ZETA

Mo.: Ecco appunto, proprio qua volevo arrivare. Venendo a parlare della compagnia, è indubbiamente meritevole l’aver accolto una sfida drammaturgica di non trascurabile livello…
St.: Esattamente. E come anticipavo la possibilità di ambientarla in uno spazio come quello del Cimitero Militare ha fatto la differenza. Del resto Archivio Zeta è di casa nel Teatro di Marte per cui la drammaturgia che sono stati capaci di costruire è stata cucita addosso a questo luogo. Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti hanno come sempre saputo sviscerare il testo leggendo tra le righe del romanzo l’ironia con cui l’autore voleva combattere la mestizia del suo Morte a Venezia. Il percorso da qui ha poi assunto connotazioni e sfumature sempre più oscure ed oscurantiste trasformando il personale medico in una casta di fanatici cui serve affidarsi ciecamente così come si farebbe ad una medium oppure a due intellettuali che duellano a colpi di citazioni e sofismi. Il tutto mentre il mondo – quello lontano della pianura – va a rotoli. Nell’allestimento in tre capitoli è stato evidenziato con un’efficacia inequivocabile il percorso formativo di Hans Castorp. E anche noi, con le pause di spostamento tra un quadro e l’altro, abbiamo camminato con lui, “pupillo della vita“. Ognuno ha potuto ritrovarsi nelle sue debolezze, nella sua umanità che sembra estranea agli altri ospiti del Berghof, capaci di spuntare da ogni angolo del grande sacrario con le loro stravaganze.
Ma.: Non posso che concordare ma per onestà intellettuale il mio interlocutore dovrà riconoscere che quelle emozioni tanto intense, liberate nel verde delle valli appenniniche, hanno risuonato più potenti all’interno dell’Arena, coinvolgente cassa di risonanza capace di riflettere e di amplificare in un gioco di specchi la coloritura dei personaggi. Nonostante il testo appaia in gran parte fedele alla trilogia già proposta, Archivio Zeta ha saputo qui potenziare l’effetto immaginifico che è tratto distintivo del loro approfondito lavoro di ricerca e di metabolizzazione. Pur nell’isolamento sostanziale che il teatro crea, la percezione dell’incedere ruinoso degli eventi è palpabile, irrefrenabile e travolgente ma la dimensione temporale è annullata. Non c’è più il sole incedente verso l’inevitabile tramonto e l’effetto valanga della Storia ci soffoca provocandoci un senso di disorientamento “ove per poco il cor non si spaura”. Con un’intensità drammaturgica che abbiamo percepito sensibilmente più debole nella terza parte, complice forse l’assenza di quelle pause di spostamento che si ricordavano prima, ci siamo lasciati comunque sovrastare in un afflato finale che ha prolungato l’emozione dell’insieme.
CAST E REGIA PER I DUE ALLESTIMENTI DE LA MONTAGNA INCANTATA
Mo.: Ne sta uscendo fuori un bel confronto, mi pare. Dato che siamo belli caldi, procediamo con questo ritmo e parliamo della regia e dell’interpretazione. Chi vuole iniziare?
St.: riprenderei io se il mio interlocutore è d’accordo. Anche se credo che su questo punto saremo concordi sulla valutazione. Il cast di cui Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti si avvalgono da qualche anno sembra aver sposato appieno il progetto di Archivio Zeta per un teatro che non è solamente civile ma di testimonianza e di impegno, di lettura del mondo nei suoi caratteri universali, dall’antichità all’oggi. La loro regia al Cimitero Militare ha evidenziato l’inquietudine che aleggia nei pazienti, ansiosi di conoscere il giorno in cui la “detenzione” sulla montagna finirà e si potrà tornare alla pianura. I personaggi sono spesso in equilibrio precario – in piedi sui muri, su sci basculanti, in piedi su tavoli e sedie, sulle sdraio a dondolo – sull’orlo del baratro che non riescono a vedere. Gli attori e le attrici hanno saputo caricare i personaggi di un pizzico di parodia, una manciata di sagacia, una spolverata di incredibile ingenuità restituendo una ricetta completa, equilibrata e agrodolce. Proprio come doveva apparire quel lontano 1913.

Ma.: potrei quasi non aggiungere nulla a ciò che è già stato detto senonché la regia di Sangiovanni/Guidotti è stata totalmente rivoluzionata per lo spazio limitato del teatro. Nonostante i corridoi della platea siano stati invasi a momenti dagli artisti e i palchi laterali abbiano accolto attori e musicista, i registi hanno dovuto fare i conti con i limiti del palcoscenico. Quell’effetto di precarietà tanto prevalente nella trilogia triennale ha lasciato spazio alla sensazione di isolamento e di confinamento per cui il peregrinare dei personaggi si conclude in un moto costretto di scambi, talvolta circolare, o magari in una staticità degna di un toy theatre. C’è una perentorietà più marcata che anche gli interpreti hanno saputo comprendere e restituire. Il lato caricaturale è apparso più preponderante ma senza mai scadere nel macchiettismo. Non a caso il pubblico ha saputo anche lasciarsi catturare dall’ilarità, a tratti amara, insita nei personaggi del romanzo e in questo allestimento drammaturgico in particolare. Complessivamente il giudizio sul cast non può comunque che essere eccellente, con alcune punte di diamante davvero encomiabili. Oltre ai veterani Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, sui quali si sono spesi, a ragione, fiumi di elogi, la capacità di caratterizzazione di Diana Dardi e di Andrea Maffetti è davvero un elemento che impreziosisce ogni rappresentazione. Ma nessuno ha davvero deluso ed il gruppo ha funzionato come un orologio svizzero, appunto.
LUCI E SUONI AVVOLGONO LA MONTAGNA INCANTATA
Mo.: mi pare che ci siamo detti quasi tutto ormai. O forse no: vogliamo rendere merito anche agli apparati luminoso e musicale?
Ma.: mi pare evidente che in un teatro luci e suoni sono fondamentali, soprattutto laddove si decide di mantenere una struttura a capitoli, sebbene riarrangiata liberamente e competentemente come in questo caso. Il violoncello di Francesco Canfailla insieme ai contributi audio e video – emozionante l’ascolto della voce di Mann registrata per la radio, che non era mancato neanche alla Futa, per la verità – ha preso per mano il pathos della drammaturgia e lo ha accompagnato direttamente tra le corde della nostra sensibilità, lasciando che si accomodasse nella posizione che meglio gli si confà. Oltre a pochi interventi video proiettati sul fondo, le luci hanno allungato la distanza tra la montagna e la pianura, avvolgendo quella in un’aura lattiginosa, nebbiosa ed impenetrabile.
St.: per quanto mi riguarda è stata la natura a fare da padrona ancora una volta, con lo stormire delle foglie, il fruscio delle piante scosse dal vento e l’eco della storia che ha solcato i crinali dell’Appennino. In questo caso le musiche di Canfailla hanno facilitato gli spettatori nel fare il loro ingresso all’interno delle scene; un effetto prodromico che per una rappresentazione all’aperto è certamente propedeutico alla costruzione di ambienti e personaggi.
ESPERIENZE A CONFRONTO PER LA MONTAGNA INCANTATA

Mo.: dopo questa vostra analisi a confronto, credo che sia proprio arrivato il momento di chiudere per cui vi lascio un ultimo spazio a disposizione per le conclusioni.
St.: Già ci siamo detti, in occasione della terza parte, che le voci dei protagonisti ci sono arrivate dritte alla testa e al cuore. Credo che sia questa la migliore conclusione per me: da Thomas Mann passando per il romanzo fino alla drammaturgia di Sangiovanni/Guidotti e all’interpretazione del cast, se ciò è successo è merito di tutti questi, nessuno escluso. Non ci resta che attendere con curiosità ed impazienza di conoscere il prossimo progetto per l’inconfondibile Teatro di Marte.
Ma.: E’ davvero difficile trovare una conclusione capace di rendere omaggio all’operazione compiuta da Archivio Zeta. Ma questo posso dirlo, senza dubbio di smentita: tra gli innumerevoli tentativi di drammatizzare i grandi della letteratura di prosa, questo de LA MONTAGNA INCANTATA può davvero enumerarsi tra i migliori. Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti non si sono lasciati spaventare dalla complessità di un grande classico e hanno affrontato questo lavoro come si approcciano i classici dell’antichità: la natura umana è costruita di atomi emozionali, sensibili e caratteriali, che restano immutati nonostante le diverse fogge che possono assumere in ognuno di noi. Un classico, sia esso Euripide oppure Mann, è in grado di osservare e vivisezionare tali atomi al punto da estrarne l’essenzialità e cucirla addosso ai personaggi che pertanto diventano universali. “Sein”: questo richiamo all’essere voglio portarmi via da questo teatro quando, mentre le mani del pubblico in piedi ancora applaudono, io ancora mi sento fortemente vulnerabile ma straordinariamente umano.
Allestimento teatrale visto al Teatro Arena del Sole (Bologna) il 22 marzo 2025
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