
Nel 1932 Thomas Mann ricevette una scatola, dentro la quale c’erano le ceneri del suo capolavoro, La montagna incantata, pubblicato nel 1924. Un ammonimento contro colui che, con esemplare lucidità, aveva denunciato che il nazismo avrebbe portato la Germania – e con essa il mondo – allo sfacelo. Dal loro punto di vista i sostenitori di Hitler avevano ragione a dare alla fiamme quel libro, perché con potenza inaudita costringeva il lettore a porsi domande scomode, profonde, necessarie. Costringeva a pensare e a compiere fondamentali scelte di vita.
Le stesse domande che hanno portato archiviozeta a lavorare intensamente sul testo, portandolo in scena in tre parti nell’arco del triennio 2022-2024 in luoghi fortemente simbolici, come il Cimitero militare germanico del Passo della Futa, sull’Appennino tosco-emiliano, e nel Complesso monumentale di San Michele in Bosco all’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna. Quel progetto – che ha ottenuto il Premio Ubu – è stato ora rivisto e riscritto per diventare uno spettacolo unico che, in un’appassionante maratona teatrale di 5 ore e mezza, è stato rappresentato all’Arena del sole di Bologna il 22 e 23 marzo scorsi.
La scommessa di Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni di concentrare un testo così ricco, sfaccettato e complesso in uno spazio scenico chiuso e in un tempo limitato chiedeva anzitutto una nuova drammaturgia e una nuova regia e, in secondo luogo, una serie di “trovate” teatrali che rendessero lo spettacolo al tempo stesso sostenibile e coinvolgente. Una scommessa ampiamente vinta. L’intero teatro – platea e palcoscenico, quest’ultimo a tratti diviso in più sezioni da sipari mobili – viene sfruttato dagli attori che, in certi momenti, quasi si mescolano al pubblico, rendendo plasticamente concreta l’idea che tutti i presenti – attori o spettatori non fa differenza – sono coinvolti nell’avventura del giovane Hans Castorp che si reca a Davos, fra le montagne svizzere, per fare visita al cugino, in cura in un sanatorio. Avrebbe dovuto fermarsi per sole tre settimane, vi resterà per sette anni, durante i quali, attraverso l’incontro con personaggi memorabili, verrà a contatto con le più importanti idee del secolo: dal nichilismo al socialismo, dall’edonismo all’umanesimo…
Oltre all’utilizzo totale dello spazio, sono molti altri gli espedienti messi in campo dalla regia per vincere la sfida: coreografie esteticamente suggestive, balletti, scene cinematografiche al rallentatore, la musica (in gran parte eseguita dal vivo dal violoncellista Francesco Canfailla), video (perfettamente consoni quelli curati da Fondazione Home Movies – Archivio nazionale del film di famiglia), lo struggente canto finale quando Hans si risveglia e, compreso che «il suo piccolo destino scompariva di fronte a quello generale», scende da quel luogo magico nella piana, torna nel mondo per farsi soldato, perché la guerra è alle porte.
Cinque ore e mezza che scorrono veloci, trascinandoci con efficacia dentro il senso di La montagna incantata: che cos’è la malattia? chi è davvero sano? vale di più la contemplazione o l’azione? guardarsi dentro è fondamentale per acquisire consapevolezza o ci trascina verso abissi da cui non usciremo più? che cos’è la libertà? e qual è – difficile immaginare questione più attuale – la vera identità dell’Europa?
Finisce con il pubblico in piedi ad applaudire per lunghissimi minuti una compagnia stanca ma commossa, consapevole di aver vissuto e aver accompagnato il pubblico in un’esperienza culturale ed esistenziale preziosa, di cui oggi più che mai abbiamo bisogno.
Sarebbe oseremmo dire scandaloso che un progetto del genere restasse circoscritto nella memoria di chi ha avuto il privilegio di viverlo in prima persona, sarebbe bello e opportuno che i teatri italiani e gli organizzatori dei festival lo proponessero a nuovi pubblici. La reazione del pubblico, è garantito, ripagherà di ogni sforzo.