Ritorno all’inferno

Massimo Marino | 01/08/2014 | Corriere di Bologna

Alla Futa «Gli ultimi giorni dell’umanità» di Archivio Zeta: «Il nostro sguardo sulla ferocia della Prima guerra mondiale»

«Alla fine della rappresentazione de Gli ultimi giorni dell’umanità calerà dall’alto la voce registrata di Luca Ronconi, alieno dio della guerra del teatro di Marte immaginato da Karl Kraus, a decretare la distruzione dell’uomo». Non si tirano certo indietro di fronte a imprese ardite Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, con la loro compagnia Archivio Zeta. Da stasera fino al 17 agosto allestiscono nel Cimitero militare germanico della Futa uno spettacolo tratto dal fluviale testo dello scrittore viennese, sulla Prima guerra mondiale (finito di scrivere negli anni 20), portato in scena nel 1990 dal loro maestro Luca Ronconi.
Lo spettacolo si replica tutti i giorni alle 18 nel luogo che raccoglie le spoglie di soldati tedeschi caduti nella Seconda guerra mondiale (ingresso euro 20, servizio pullman da Bologna il 7, l’11 e il 15, ore 15.45 da piazza Malpighi; info: 334/9553640, www.azrchiviozeta.eu).

Perché mettere in scena una tragedia di quasi ottocento pagine?
Enrica Sangiovanni: «Avevamo voglia di ricordare il centenario della Prima guerra mondiale con un’opera che desse varie tracce di lettura possibili. Kraus è come un’antenna che capta passato, presente e futuro. Sviluppa un discorso generale sulla guerra, che parte dall’omicidio di Sarajevo e arriva a tutti i conflitti combattuti. E così parla anche del luogo dove lo ambientiamo».

Che cortocircuito può scoppiare con il Cimitero della Futa?
«Lì, tra 36 mila lapidi di soldati reclutati nell’ultimo periodo del Terzo Reich e mandati a morire, scattano vari interrogativi. Primo tra tutti perché tanti giovani non si siano ribellati alla violenza, all’idea di carneficina. Noi non giudichiamo i morti seppelliti là. Li assumiamo come una tragica realtà».

Negli anni scorsi distanziavate la violenza attraverso le tragedie greche. Come mai questo salto verso il mondo moderno?
«Dopo dieci anni abbiamo sentito la necessità di mutare epoca e registro attraverso un autore che scrive sì della Prima guerra mondiale ma anche di molto altro. Abbiamo setacciato il testo al microscopio e abbiamo scelto un taglio preciso».

Quale?
«Kraus parla molto dei mezzi di comunicazione, della manipolazione dell’opinione pubblica. Mette sul banco degli imputati l’informazione, l’uso “pornografico” delle immagini. Vi ritroviamo temi sensibili oggi. Era un incontro inevitabile per chi come noi vuole fare un teatro di parola, civile, sulla scia di Brecht,Pasolini, Bernhard».

Che rapporto c’è con l’allestimento di Ronconi?
«Ci confrontiamo con esso, con tutt’altri mezzi. Noi non abbiamo vagoni ferroviari, mongolfiere… Vogliamo togliere a questo testo la nomea di opera irrappresentabile. Ci muoveremo molto nello spazio nudo, con varie stazioni. Più che nelle tragedie».

E la colonna sonora?
«È come sempre un personaggio. Questa volta non si ascolteranno suoni dal vivo. Il compositore Patrizio Barontini ha svolto una grande ricerca su materiali d’archivio. Si sentiranno canzoni d’epoca e ci saranno riferimenti alla “musica degenerata” degli anni Dieci, Venti, Trenta, Schönberg, Berg… Si udrà la voce di Kraus, che più che un attore era un oratore istrione, che spesso leggeva brani di questa tragedia in pubblico. Si vedranno immagini che fecero scalpore, come quella dell’esecuzione di Cesare Battisti».

Perché nelle note di sala parlate di «apocalisse dell’umano»?
Gianluca Guidotti: «Il testo di Kraus, un affresco enorme, nel quinto atto assume colori espressionisti. Appaiono Leonardo da Vinci, iene, corvi e altre visioni. Sbiadisce la rappresentazione realistica della trincea, dei discorsi dei ministri, dei funerali, del tavolo del bar dove si discute: entriamo in un delirio di immagini che sembra non parlare più della Grande Guerra ma dei lager, dei gulag, di Hiroshima, della Bosnia, della Palestina… Come se le figure fossero così interiorizzate da universalizzarsi».

È vero che Hitler si ispirò all’oratoria di Kraus per i suoi discorsi?
«Quando Kraus nel 1933 sentì i comizi di Hitler, entrò in crisi e smise di recitare. Lo ascolterete, quando manderemo la voce di Kraus nel cimitero: sembra Hitler. La fase finale del testo descrive la lenta disgregazione dell’umanità, attraverso una guerra che ha perduto ogni regola. Una lenta apocalisse, che continua ancora oggi. Vogliamo ricordare come dalla Grande Guerra inizi un processo profondo che porta alla perdita di significato dell’umano».

Massimo Marino