Antigone, la tragedia diventa realtà d’oggi

Alessandro Zaccuri | 07/08/2020 | Avvenire

Ambientazione pasoliniana quella scelta da Archivio Zeta per dare rinnovata attualità al capolavoro di Sofocle proposto da Bologna Estate. Al centro la cieca e ottusa violenza del potere che da Creonte sfocia nella contemporaneità. E all’alba del 16 agosto la compagnia teatrale fondata nel 1999 sarà presso il cimitero con “Requiem Antigone” in memoria dei morti di Covid

Sul cadavere insepolto di Polinice la sorella Antigone scopre un taccuino, lo apre, trova parole che elogiano il “corpo poetico”, vulnerabile e fragile, solenne nella nascita come nella morte. La donna legge ad alta voce, ripone il piccolo tesoro di carta lì dove lo ha trovato, dopo di che prende in braccio quel che resta del fratello: un fantoccio scuro, senza volto, che ricorda il cadavere massacrato di Pier Paolo Pasolini. È un luogo pasoliniano anche la bolognese Villa Aldini, che da qualche giorno ospita il nuovo allestimento di Antigone/Nacht und Nebel di Archivio Zeta (fino al 15 agosto, all’interno del cartellone di Bologna Estate: per informazioni www.archiviozeta.eu). Qui, nell’edificio neoclassico che dalle colline domina la città, furono girate molte sequenze di Salò o le 120 giornate di Sodoma, il film con il quale il regista-poeta rimetteva in discussione la sua “trilogia della vita”. Non più la libertà un po’ ingenua e a tratti irriverente del Decameron e dei Racconti di Canterbury, non più la leggerezza sfrontata del Fiore delle Mille e una notte. La “trilogia della morte” si sarebbe incentrata sull’arbitrio del potere, sulla violenza che riduce i corpi a cose, e ne fa ciò che ne vuole.

Sono i temi su cui già Sofocle si sofferma in Antigone, appunto, conclusione apparente – e assai inquieta – del ciclo narrativo inaugurato da Edipo re. La lotta per la successione è terminata, Tebe ha di nuovo un sovrano, ma Creonte è un tiranno che preferisce l’ordine alla giustizia. Offre funerali di Stato a Eteocle, che ha combattuto dalla sua parte, e nega la tomba a Polinice, che gli si è opposto. Non importa che i due fossero fratelli, nipoti entrambi dello stesso Creonte. Il re non intende ragione al di fuori di quella dettata dal proprio arbitrio. Condanna a morte Antigone, sorpresa nell’atto di dare sepoltura al reietto Polinice, e si rifiuta di ascoltare il monito di Tiresia, l’indovino che annuncia l’incombere di un’ulteriore maledizione sulla città. Creonte è sicuro di sé, non teme il contagio del cielo. Ha rinchiuso Antigone in una grotta, è vero, ma le ha dato cibo e acqua sufficienti per un giorno. Chi potrebbe accusarlo di essersi comportato crudelmente?

Tragedia universale, nel corso del tempo Antigone si è prestata a continui rifacimenti, non di rado concepiti sotto l’urgenza dall’attualità. Si richiamano alla Seconda Guerra mondiale, per esempio, le celebri riscritture di Jean Anouilh e Bertolt Brecht, la cui lezione è ben presente nella drammaturgia che Archivio Zeta aveva originariamente destinato, nel 2018, al Teatro di Marte che dal 2003 si svolge ogni estate presso il Cimitero militare germanico del Passo della Futa, tra Emilia e Toscana. Quest’anno era in programma la seconda parte della trilogia Pro e contra Dostoevskij, ma a causa del coronavirus le autorità tedesche (sotto la cui giurisdizione cade il Cimitero, nel quale riposano più di 30mila caduti dei combattimenti sulla Linea Gotica) hanno negato il permesso per le rappresentazioni. A questo punto Archivio Zeta non si è limitato a individuare un’altra collocazione e ha ripensato completamente il progetto.

È una realtà complessa, questa fondata dal 1999 da Gianluca Guidotti e da Enrica Sangiovanni. Associazione culturale e compagnia teatrale insieme, ha subito fatto del rapporto con i luoghi il cardine della propria ricerca. Fondamentale, in questo, l’avventura della Futa, documentata nel dettaglio dal ricchissimo volume Teatro di Marte, curato lo scorso anno da Elena Pirazzoli per le edizioni di Archivio Zeta. A Villa Aldini Guidotti e Sangiovanni avevano lavorato già nel 2015, in una delle tappe dellospettacolo itinerante ispirato, non a caso, a Pilade di Pasolini. Il loro è un teatro istintivamente politico, come politica era la tragedia greca, come politica è sempre la parola quando accetta di confrontarsi con la contemporaneità.
A dimostrarlo è, una volta di più, questa Antigone giocata sul lugubre riproporsi dell’abbreviazione NN. Sono le iniziali di Nacht und Nebel, la wagneriana “notte e nebbia” in cui il nazismo intendeva disperdere i dissidenti, ed è nello stesso tempo l’acronimo per nomen nescio, la formula che si riserva ai cadaveri senza nome, compresi quelli dei migranti annegati nel Mediterraneo. A loro si riferisce in modo esplicito la rimodulazione dell’Antigone di Archivio Zeta, fino al naufragio che travolge l’ormai sconfitto Creonte. Non per questo, però, mancano i riferimenti al lutto imperfetto per i morti della Covid-19. Pochi cenni, ma precisi e immediatamente riconoscibili grazie al mosaico di frammenti testuali provenienti dal filosofo Paul B. Preciado, dal già ricordato Brecht, dallo stesso Pasolini, alla cui preveggenza dà voce il Tiresia scanzonato e ieratico di Alfredo Puccetti, e infine dall’attrice e attivista brasiliana Kay Sara, il cui appello per l’Amazzonia è affidato ad Antonia Guidotti (la sua giovanissima Ismene è una delle invenzioni più toccanti dello spettacolo). Si tratta di indizi destinati a ricomporsi nel Requiem Antigone che Archivio Zeta celebrerà all’alba del 16 agosto presso il cimitero di Borgo Panigale, il quartiere alle porte di Bologna nel cui crematorio sono state bruciati nel marzo scorso molti dei corpi provenienti dalle località della Bergamasca più colpite dalla pandemia. Di nuovo, un’azione scenica che entra in relazione con un luogo non per trasformarlo, ma per portarne alla luce il significato più profondo. Accade lo stesso con l’Antigone di Villa Aldini (la struttura, tra l’altro, è sede di un centro per richiedenti asilo).

La simmetria della facciata è come incrinata del cerchio rituale antistante, in cui è racchiuso il corpo annerito di Polinice, mentre un sistema di corde evoca la dittatura da sconfiggere, e l’avanzare di un drappo nero diventa insegna funebre e onda incontenibile. Sangiovanni e Guidotti si fronteggiano con grande forza nei ruoli di Antigone e Creonte, Alessandro Vuozzo è un Emone che con la sua purezza non rinuncia a contrastare il padre dispotico, Andrea Sangiovanni impersona una guardia forse più stralunata che impaurita. Tocca al messaggero di Elio Guidotti, da ultimo, proclamare la conclusione della storia, ovvero il momento in cui la tragedia entra nella realtà.