Tornare in Linea / Sulla Linea Gotica

Martina Treu | 09/01/2004 |

Sulla Linea Gotica

“Ogni guerra è guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.”

(C. Pavese, La casa in collina, 1948)1

‘Guerra civile’: erano parole rischiose, in Italia, nel 1948. Lo sono ancora? A quanto pare sì, stando alla cronaca politica. Comunque sia non ci aspettiamo di sentirle oggi, in un cimitero militare di montagna. A Pavese nessuno risponde: restiamo raggelati e immobili, ritti sul pendio di fronte al tramonto. Viene da rabbrividire, anche se fa caldo: è il 12 agosto 2003. Iniziamo a camminare sulla scacchiera di tombe, come su un campo minato, per paura di risvegliare fantasmi. Evidentemente non abbiamo ancora chiuso i conti col nostro passato. Proviamo a ricominciare proprio da qui, tornando indietro all’agosto del 1943.

In principio fu il muro…

Tutto comincia da uno sbarramento naturale, un vero e proprio muro di montagne che taglia letteralmente in due l’Italia in senso longitudinale. Qualcuno si rende conto che ha la conformazione perfetta per chiudere verso sud le porte dell’Europa centrale, ormai accerchiata da ogni parte. Quel qualcuno si chiama Adolf Hitler. E fa fortificare gioghi, passi e vallate con fossati, torrette, mitraglie, trasformandolo nella famigerata Linea Gotica. Un nome evocativo, ormai più proverbiale che storico, dai più associato a vaghi ricordi di scuola. O magari all’omonimo album dei CSI, del 1996. O ancora alla logorante guerra di trincea raccontata con feroce umorismo da Bonvi. Le sue Sturmtruppen sono in teoria ambientate prima dell’8 settembre 1943, visto che con i tedeschi c’è il Fiero Alleaten Galeazzo Musolesi. Ma di quali siano all’epoca gli effettivi rapporti tra i due alleati ci dà testimonianza proprio la Linea Gotica.

Già nell’agosto ’43 i tedeschi cominciano a studiare la possibilità di fortificare gli Appennini: se l’Italia tradisse il patto e gli Alleati sbarcassero a Sud occorre impedire loro di raggiungere la pianura padana, sede di industrie e basi aeree, facile porta d’accesso alla Germania e ai Balcani. I lavori sono affidati all’organizzazione Todt, che mobilita oltre ai genieri tedeschi anche cinquantamila lavoratori italiani. Sfruttando la conformazione fisica delle montagne e gli argini naturali del terreno si costruisce un baluardo difensivo che raggiunge in certi punti la profondità di 20 Km e si estende in lunghezza per 320 km, dalla Versilia alla riviera romagnola. Il tracciato, partendo da Massa, prima si dirige a sud verso Lucca e Pistoia, poi tocca a nord i Passi della Futa e del Giogo, quindi segue i crinali appenninici fino al mare, tra Rimini e Pesaro.

Migliaia di opere campali rinforzate in legno, pietra o cemento armato, rifugi in acciaio, caverne scavate nella roccia, 2.376 postazioni di mitragliatrice (Torrette di Pantera), 479 di cannoni anticarro, mortai e cannoni d’assalto, 120.000 metri di reticolati e molti chilometri di fossati anticarro e campi minati (tra cui uno di 5 km a Santa Lucia, vicino al Passo della Futa). Questo si trovano di fronte gli Alleati quando sferrano la prima offensiva, il 25 agosto 1944. Qui comincia la storia scritta da loro, i vincitori: una lunga serie di battaglie che porta a Bologna e a Rimini, e da lì in Europa2.

1Riprendo e sviluppo in questa sede l’articolo “Tornare in linea”, apparso su Diario della Settimana, Speciale Memoria, n.I anno III, 23 gennaio 2004, pp.72-75.
2Cf. D. ORGILL, The Gothic Line, London, Heinemann, 1967

Storie di biciclette

Ma per Italiani e Tedeschi la storia della Linea Gotica inizia nel 1943, ben prima che arrivino gli Alleati, e coincide con uno dei periodi più bui per entrambi i popoli: i militari italiani sono giustiziati o spediti nei campi in Germania, i civili sono preda di rastrellamenti, rappresaglie ed eccidi, in una zona vastissima, per ben due lunghi e rigidi inverni. I sopravvissuti e i loro discendenti, oggi, si sforzano di superare le divisioni regionali e territoriali -tra enti, Regioni e Comuni diversi- per ricostruire il passato comune a tutto il territorio e colmare insieme i vuoti della memoria. Restaurano edifici, organizzano mostre, fanno ricerche: così, accanto ad episodi famosi, come Sant’Anna e Marzabotto, ne affiorano altri di meno noti come Padulivo, Campo di Marre e Vicchio. O ancora storie intrecciate di battaglie e partigiani, di conventi e biciclette.

Nell’inverno ’43-’44 i tedeschi procedono alacremente nei lavori di fortificazione e nella concomitante concentrazione di truppe: la corsa contro il tempo si fa sempre più serrata man mano che gli Alleati risalgono l’Italia verso Nord, costringendo i tedeschi a ritirarsi su linee fortificate successive (come la “Gustav” a Cassino) con una tecnica adottata dalla Wehrmacht durante tutta la campagna d’Italia. Nel frattempo sugli Appennini, in risposta all’occupazione, nascono i primi raggruppamenti spontanei e poi un movimento partigiano vasto e bene organizzato che ha il suo centro nel Mugello e principalmente sul Monte Giovi. Tra le formazioni più importanti, a cui si affiancano varie bande minori, si ricordano la 2a Brigata “Carlo Rosselli” di Giustizia e Libertà -costituita a Ronta nell’ottobre 1943- e la 36a Brigata Garibaldi “A. Bianconcini”, attiva dal gennaio 1944 e arrivata a contare più di 1250 partigiani in azioni importanti come l’occupazione di Palazzuolo e Firenzuola.

Quello che accade in questa terra è di importanza strategica per il successivo sviluppo della lotta di liberazione in tutta la regione. In Toscana la Resistenza ha breve durata rispetto al Nord Italia, ma vive una stagione di grande intensità. Fattore fondamentale è la configurazione del suo territorio e la contiguità con Firenze, non solo per il contributo dei giovani mugellani che contribuiscono alla liberazione di Firenze, ma perché i partigiani fiorentini hanno qui la possibilità di rifugiarsi, organizzarsi e fare proseliti. Sapranno così conquistare il consenso e l’appoggio delle popolazioni locali fino a proporsi come forza di autogoverno nelle zone liberate dagli Alleati.

Anche gli abitanti della zona da parte loro contribuiscono attivamente alla liberazione, fornendo un sostegno decisivo ai partigiani. Montanari, contadini e pastori; madri di famiglia, suore e sacerdoti; e perfino ragionieri e ciclisti: protagonisti di molte storie di ordinario eroismo, alcune ancora da raccontare, altre rese note solo di recente. Come quella di Giorgio Nissim, riscoperta a Castelnuovo Garfagnana proprio il giorno della memoria, nel 2003. Riesce a salvare oltre ottocento persone -ebrei come lui- scavalcando ogni confine territoriale, politico o religioso. Tant’è che i più preziosi e insospettabili alleati sono tutti ferventi cattolici (ma nessuno tentò mai di convertirlo, come amerà poi ricordare): in Liguria Repetto, segretario dell’arcivescovo di Genova; in Toscana e Umbria i frati francescani; e a fare da spola, anche lui per fede, Gino Bartali. Il vincitore al Tour del ’38, infatti, può varcare la Linea Gotica con la scusa dell’allenamento e la fama acquisita come lasciapassare. E pedalare su e giù sotto il naso dei tedeschi, tra l’autunno del 1943 e la primavera del ’44, portando foto e documenti nascosti nella canna ‘inviolabile’ della sua bicicletta.

Guerra. E pace?

Nell’estate del 44, finalmente, gli Alleati arrivano ai piedi degli Appennini. Alla fine di settembre sono riusciti a penetrare le difese della Gotica lungo la costa adriatica e in Toscana, ma l’arrivo del maltempo e la mancanza di rimpiazzi e di rifornimenti blocca l’avanzata e impedisce lo sfondamento decisivo fino alla pianura Padana: un inverno di patimenti attende i combattenti e la popolazione. L’offensiva finale alleata scatta solo il 9 aprile 1945, portando in un mese alla dissoluzione dell’esercito tedesco e alla liberazione di tutta l’Italia del Nord. La zona ospita alcune delle battaglie più sanguinose dell’intera guerra, anche se trascurate a favore di altre più spettacolari, come lo sbarco in Normandia. Eppure il loro esito, secondo alcuni, peserà sulla politica mondiale delle grandi potenze, con effetti a lungo termine che si estendono dall’Italia al blocco atlantico a quello orientale ai Balcani (questa la tesi di Amedeo Montemaggi, storico e antifascista militante, Presidente del Centro Internazionale Documentazione “Linea Gotica”3).

Fronte decisivo della Gotica, in particolare, si rivela il Passo della Futa, dove transita la Statale 65, la via più diretta per arrivare a Bologna e alla Pianura Padana. Riconosciuto dai Tedeschi come punto debole della catena appenninica è fortificato con una cura che rasenta l’ossessione e costerà loro una disastrosa sconfitta. Alla Futa, a parte il lungo fossato anticarro, sono approntate casematte in cemento armato, piazzole per le armi e ricoveri delle truppe. La linea di difesa avanzata comprende trinceramenti difesi da filo spinato e campi minati, e sono concentrate qui due delle cinque divisioni tedesche dell’Appennino centrale. Ma gli americani a sorpresa attaccheranno al Passo del Giogo, meno difeso e fortificato, dopo aver ingannato i tedeschi sulle loro vere intenzioni con una manovra diversiva della 343 divisione di fanteria sulla direttrice della Futa, a cavallo della dorsale della Calvana e attraverso Calenzano e Barberino.

Del resto i tedeschi sono allo stremo: la sola 4a divisione paracadutisti, già sotto organico, tiene un fronte di quasi venti chilometri dalla Futa al monte Pratone, praticamente senza disponibilità di riserve. Fra i suoi uomini pochissimi sono veterani di Cassino, quasi tutti sono rimpiazzi privi di addestramento, appena arrivati dalla Germania, senza mai avere sparato un colpo di fucile. Moriranno a migliaia, su queste colline, che ancora oggi restituiscono, di tanto in tanto, nuovi resti. Il calcolo approssimativo parla di un totale di oltre duecentomila vittime sulla Linea Gotica. Di questi, circa 31.000 sono sepolti nel solo Cimitero Militare Germanico della Futa: il più grande sacrario tedesco in Italia, edificato tra il 1962 e il 1965 e inaugurato nel 1969. Nel suo progetto, dell’architetto Dieter Oesterlen, si può intravedere l’eco della riflessione sulla memoria nazionale avviata dalla Germania all’indomani della guerra, in particolar modo il dibattito sui monumenti funebri e i luoghi della memoria4.

Il Cimitero della Futa

Oggi il monumentale cimitero si presenta così: un muro di duemila metri che avvolge la montagna come una spirale e si interrompe in cima, con la punta rivolta verso il cielo. Tutt’attorno terrazze lastricate di nude lapidi, tutte uguali e indistinte ma accoppiate, come pagine di libri aperti sul terreno. Queste tombe sono ben curate, come scopriamo, per merito dell’Associazione “Lavoro per la Pace”. Il suo intento non è glorificare i caduti, ma pacificare i rimasti: ne fanno parte parenti delle vittime, attivisti,

3Tra le sue numerose puibblicazioni si veda in particolare A. MONTEMAGGI, Linea Gotica 1944. La battaglia di Rimini e lo sbarco in Grecia decisivi per l’Europa sud-orientale e il Mediterraneo, Rimini, 2002.
4 Si veda da ultima A. ASSMANN, Arbeit am nationalen Gedächtnis Eine kurze Geschichte der deutschen Bildungsidee, Campus Verlag / Maison des sciences de l’homme, 1993 (tr. fr. Construction de la mémoire nationale. Une brève histoire de l’idée allemande de Bildung, Paris, 1994).

volontari, semplici studenti. Da anni organizzano anche campi estivi: i ragazzi si accampano nella zona, partecipano a incontri su temi storici e a riflessioni collettive sui valori della pace, si prendono cura delle tombe, entrando in contatto diretto coi segni tangibili di quell’orrore. Hanno più o meno la loro età i pochi soldati identificati: età e nomi propri sono scritti sulle tombe, in mezzo a innumerevoli “soldati tedeschi sconosciuti”. Alcune delle loro storie, strazianti, si possono leggere nel depliant distribuito all’ingresso nel cimitero. Tutto in tedesco, naturalmente. Traduciamo dalla copertina “Con la guerra non si ottiene nessuna pace” e ancora “le tombe di guerra incitano alla pace, chiunque voglia collaborare alla diffusione delle idee per la pace è il benvenuto”. Con questo monito varchiamo la soglia del cimitero, ripensando al motivo per cui siamo qui.

Progetto Linea Gotica

Ci ha invitati l’Associazione Archivio Zeta, un gruppo teatrale che ha sede a Firenzuola e da anni opera nella zona, in collaborazione con gli enti di volta in volta interessati. Il progetto triennale curato da Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni, direttori artistici di Archivio Zeta, si intitola appunto Linea Gotica e si propone di “individuare i luoghi della memoria sul territorio e farne palcoscenico naturale di spettacoli ed eventi che abbiano come tema: l’assurdità della guerra, le ferite della Storia, la dignità violata e l’importanza della memoria”. Spesso i luoghi storici ispirano spettacoli e ne condizionano attori e pubblico. Così l’autunno scorso, al Piccolo di Milano, Bebo Storti riviveva gli orrori di Via Rovello e ne mostrava le recrudescenze in Mai morti, di Renato Sarti. Così nella primavera del 2003, a New York, il National Actors Theatre rievocava il primo scontro epocale tra Oriente e Occidente mettendo in scena – vicino a Ground Zero – i Persiani di Eschilo: lo stesso rappresentato oggi alla Futa, in una fedele traduzione del testo greco. L’originale debutta ad Atene nel 472 a. C., pochi anni dopo la vittoria greca. L’autore, il pubblico e il coro hanno appena combattuto le due guerre ‘mondiali’ appena concluse. Ma Eschilo, a sorpresa, trasforma la vittoria dei Greci nella sconfitta dei Persiani. Venticinque secoli prima di Pavese o di Fredric Brown (Sentinella, 1954) rovescia e relativizza la prospettiva per dirci che l’Alterità è reciproca: ‘Barbari’ o ‘Alieni’ siamo in realtà tutti noi.

I Persiani

Non a caso, dunque, Archivio Zeta ci convoca proprio al cimitero della Futa: per i tedeschi un luogo della memoria, per noi specchio del lutto dell’Altro. Non un Altro qualsiasi, bensì un alleato che diventa nemico, e in un solo giorno: lo stesso processo si vuole invertire qui oggi, almeno nella comunità che vi partecipa direttamente. In questi Persiani c’è chi si riconosce nei vinti, e rivive il dolore comune, dopo averne subito sulla pelle l’oppressione. I due cori, femminili e maschili, non sono professionisti, ma abitanti del luogo: un gruppo vocale di donne e vecchi che “hanno nella memoria, indelebili, le tracce della guerra combattuta su questi monti”. Da aprile a luglio le prove in loco. Ad agosto la prima e le repliche: sei in tutto, per sessanta spettatori ciascuna (ma saranno incrementate, sotto pressanti richieste). Così, in piccoli gruppi, partecipiamo a una sorta di via crucis al tramonto: saliamo in cima al monumento, alla reggia di Susa, e lì ascoltiamo i lamenti dei Persiani e le notizie da Atene.

Scendiamo dall’altra parte, sulla tomba di Dario, poi ancora più giù sul pendio. Qui passato, presente e futuro si fondono con le prime ombre della notte. Siamo tutti persiani e scrutiamo ansiosi a occidente, per avvistare reduci che non arriveranno mai. O siamo tedeschi, sulla Linea Gotica, in attesadella morte. O forse siamo iracheni, cullati dalle nenie delle donne e dall’accento albanese di Serse. E ancora guardiamo a Ovest, aspettando gli Americani, di nuovo in guerra tra oriente e occidente. Il buio ci riscuote, sembra passata un’eternità; a malincuore torniamo all’ingresso. Qui ritroviamo gli attori, che solo un’ora fa ci avevano accolti così: “Noi vi preghiamo di ricercare nel vostro animo azioni simili del più recente passato”. È il 12 agosto, anniversario dell’eccidio di Stazzema. Sulla cima dietro di noi, fianco a fianco, la bandiera italiana e quella tedesca sono un’unica sagoma nel tramonto. Più in alto solo la spirale, che si interrompe. O almeno così dovrebbe. Ma vista da qui è una lama affilata che punta dritta verso il cielo, come a squarciarlo.

5)Tra gli altri il Teatro degli Auras di Massa Carrara (Progetto “Vagondrom” sulla Memoria della Shoà) e i molti comuni che a partire dal 27 gennaio 2004 (Giorno della Memoria) hanno ospitato in tournée “La notte” di Elie Wiesel (un progetto multimediale con la partecipazione straordinaria dell’autore in video, portato anche al Teatro Franco Parenti di Milano, nel gennaio 2003)

Università di Pavia MARTINA TREU

Per informazioni:

  • Progetto Linea Gotica. Associazione Culturale Archivio Zeta, Firenzuola (FI), tel/fax 39 055 81 22 03. WEB: www.archivio-zeta.org ; info@archivio-zeta.org
  • Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge e. V., Werner-Hilpert-Strs. 2 34112 Kassel. Tel. +49 (0) 1805-7009-99. WEB: www.Volksbund.de ; info@volksbund.de
  •  Associazione I Ferri Taglienti, Scarperia (FI): www.ferritaglienti.com
  • Progetto Linea Gotica, Emilia Romagna. WEB: http://www.lineagotica.it/ita/home.htm
  • Centro Internazionale Documentazione “Linea Gotica”, Rimini, Tel./Fax 0541.773373. WEB:cidgotica@tin.it
  • Museo della guerra, Palazzo Alidosi, 40022 Castel Del Rio (BO) Tel. +39-0542-95554. WEB: http://www.sofos.it/museoguerra/default.htm
  • Museo Storico della Linea Gotica, Casinina di Auditore (Pesaro-Urbino). Tel. +39-0722-362170. WEB: www.montefeltro.net/lineagotica/index.html (museo, archivio e videoteca).