Il buio dell’oblio del ricordo, l’oscurità dalle palpebre calate degli occhi rivolti all’indentro e tesi a una memoria che si riscontra monca, senza margini o forme, nebulosa. Questo cranio buio, teca di immagini o di loro assenza, Golgota di passione sospesa tra l’inconscia dimenticanza e il voluto ottenebramento, viene proiettato fuori dal singolo, dal testimone, e si fa luogo di comunanza, di condivisione: il sol tetto tinto di nero del Teatro delle Moline di Bologna. Il richiamo del racconto che ci traghetta è bitonale ma cantato all’unisono: gli Archivio Zeta: Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni. L’evento è uno di quelle rare e purtroppo inconsuete convergenze tra il mondo dell’istruzione (dal latino in-struere = inserire, portare dentro) e il mondo dell’educazione (dal latino ex-ducere = tirare fuori, far venire alla luce), tra la scuola e la vita che troppe volte si vedono schierate su fronti contrapposti e si danno battaglia. Gli Archivio Zeta, supportati sicuramente da alcuni professori degni di lode, incontrano varie classi delle superiori per parlare assieme riguardo l’importantissimo tema della memoria. Questo duo attoriale porta ai ragazzi un capitolo de I sommersi e i salvati, ultimo libro scritto da Primo Levi, chiamato: La zona grigia. L’interesse di Levi in questo libro è volto all’analisi dell’asservimento coatto dei prigionieri nei campi di concentramento, specchio del totalitarismo, per poter trarre degli indicatori di allarme che potranno servire in futuro a evitare il ripetersi dell’irreparabile già avvenuto. Il punto di partenza allora risiede proprio in coloro che ci hanno tramandato quegli avvenimenti grazie alla loro memoria.

La storia popolare, ed anche la storia quale viene tradizionalmente insegnata nelle scuole, risente di questa tendenza manichea che rifugge dalle mezze tinte e dalle complessità.

Primo Levi, I sommersi e i salvati, p. 24.

Ma che senso ha parlare della memoria a ragazzi che non ce l’hanno? Che non hanno vissuto ciò che successe all’autore o ad altri come lui? Ebbene ciò che gli Archivio Zeta provocano è un’esperienza. La memoria per loro subentrerà dopo. Essi infatti ricreano un vasto diorama in cui immergono gli spettatori facendogli vivere una vera e propria situazione limite, un caso umano che si colloca appunto in quella che Levi chiama la “zona grigia”.

Sentiamo le voci evocative di Gianluca ed Enrica plasmare all’interno della sala-cranio, come ricordi mai avuti ma ora evocati chissà da dove, immagini materializzate in quadri. Questi esili telai di alluminio incorniciano i protagonisti di ciò che avvenne nel ghetto della città polacca di Lódz tra il 1940 e il 1944. Tra loro si staglia però per importanza una figura: quella di Chaim Rumkowski. Egli viene nominato dai nazisti presidente del ghetto e si fa intermediario per la gestione delle importanti industrie tessili della città. Viene tratteggiato qui un caso che rientra a pieno titolo all’interno della zona grigia per le sue tinte a volte fosche a volte più chiare stagliate sull’orizzonte sicuramente confuso e controverso che Rumkowski assumeva ai suoi stessi occhi. Egli infatti a uno stesso tempo vessa e salva le persone all’interno del ghetto, anche se alla fine tutti, compreso lui, dovranno arrendersi alla deportazione nei campi di concentramento dove se ne perderà il ricordo.

Il loro ricordo tramandatoci da Levi diviene esperienza e soprattutto occasione per un dialogo con i ragazzi nel momento in cui gli Archivio Zeta chiedono loro di collocare Rumkowski all’interno di un cartellone colorato di bianco, nero e di tutte le gradazioni possibili di grigio. Chiamati in causa ognuno singolarmente vengono coinvolti, partecipano rendendosi protagonisti e facendosi carico di una scelta. La classe che aveva inizialmente preso a fare coro agli assoli dei due attori ora si ramifica in persone, ognuna con il proprio retroscena e le proprie aspirazioni. Diventano parte di qualcosa di comune seppur ognuno dalla personale prospettiva: diventano testimoni di quella che sarà una memoria condivisa.

Solo attraverso un uso della memoria che passi per un momento di vita vissuta viene resa possibile una vera e propria relazione tra il passato e il presente. Ma questo contatto è fragile e potenzialmente molto pericoloso dal momento che la memoria, come dicono le prime righe del suddetto libro di Levi, «è uno strumento meraviglioso ma fallace». Il passato infatti può essere soggetto a modificazioni principalmente con lo scopo di rileggere, secondo setacci viziati e faziosi, il presente. Se infatti ciò che è avvenuto può aiutare a comprendere, seppur con le debite differenze del caso, il presente, una falsificazione del primo non può che portare un’oscuramento e una deformazione del secondo.

Chaim Rumkowski

I due sono collegati e si proiettano, come precipitati chimici, nel terzo: il futuro. Per la costruzione di quest’ultimo sarà quindi necessaria una presa di coscienza critica che, nello spettacolo, viene posta come una domanda agli astanti che avranno il compito di farsene carico. Dopo la scelta presa, in qualsiasi posto abbiano scelto i ragazzi di collocare Rumkowski, viene espresso l’interrogativo: Con che diritto noi possiamo atteggiarci a giudici dal momento che «in Rumkowski ci specchiamo tutti»?Nessuno infatti può sapere al suo posto come si sarebbe comportato e questo lascia la domanda aperta. Subentra allora lo scioglimento del giudizio e con esso viene meno anche la scissione netta (almeno verso coloro che furono oppressi) tra persecutori e perseguiti, aprendoci l’orizzonte della “zona grigia”, il luogo dove si può e si deve solo cercare di conoscere, di comprendere.

Gli Archivio Zeta ci insegnano che la memoria sempre deve essere compagna della coscienza critica, altrimenti lo sguardo con cui guarderemo ciò che avviene attorno a noi sarà costantemente distorto da lenti cariche di miraggi.
Come solo un adeguato innesto di una gemma su un fusto spoglio è vitale non solo per il crescere della prima ma anche per la sopravvivenza del secondo, così l’ora può imparare in maniera fruttuosa dal già stato e questo può essere di fondamenta e radice al primo solo però nella convergenza dei due in una educazione alla memoria vissuta criticamente: il miglior innesto.