Si celebrano alla futa antiche e nuove tragedie

Beatrice Manetti | 13/08/2007 | La Repubblica

«IO SONO una lama affilata: non potrai certo smussarmi con le tue parole».
«Ma è tuo fratello! Vuoi mietere il tuo stesso sangue?».
Le grida di una guerra vecchia di due millenni risuonano tra i morti di un’altra guerra, appena dietro l’angolo della storia.
Eteocle e Polinice, i due figli di Edipo in lotta per il regno, giacciono ca- daveri davanti alla settima porta di Tebe, a due passi dalle lapidi dei Franz, dei Theodor, degli Hans e degli innumerevoli «un- bekannte deutsche soldaten», i soldati tedeschi senza nome che affollano il Cimitero militare germanico del Passo della Futa.
Il sole è tramontato.
Dall’Appennino soffia un ventogelidocheaggiunge un brivido di freddo ai brividi della memoria.
Non è facile stare qui, a piangere allo stesso modo i vincitori e i vinti, seduti sulle ossa di altri vinti che solo sessant’anni fa erano il nemico.
Ma è questa la sfida di Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni, i due attori e registi che hanno ideato e dirigono il progetto teatrale Linea Gotica: portare la tragedia antica in uno dei luoghi simbolo della seconda guerra mondiale, accordare le parole del mito con le ferite ancora aperte della storia.
Allievi di Ronconi e di Straub e Huillet, cinque anni fa si sono trasferiti sull’Appennino tosco-emiliano e hanno scoperto per caso il Cimitero della Futa.
«E’ stata una folgorazione», dicono, e si può capirli.
In questa specie di nave gigantesca arenata tra i boschi e le colline del Mugello, intorno al muro che sale a spirale fino a una grande vela di pietra serena, sono sepolti più di 31 mila soldati tedeschi, quasi tutti tra i sedici e i vent’anni, che il ’44 e il ’45 combatterono sulla linea Gotica, uccidendo, devastando, terrorizzando la popolazione civile.
«Lo abbiamo visto e ci siamo detti: è perfetto.
E’ un luogo tragico ma non funereo, e non ha un briciolo di retorica.
In questi anni è diventato il simbolo del nostro teatro».
Hanno cominciato nel 2003, mettendo in scena I Persiani di Eschilo, la tragedia dei vinti raccontata dai vincitori.
Due anni dopo è stata la volta della tragedia dei fratelli – Sette contro Tebe, sempre da Eschilo – e poi dell’Antigone di Sofocle, la tragedia della disobbedienza.
Tutti spettacoli itineranti, che portano il pubblico dai prati alla cripta e poi ancora all’aperto, fra gli alberi eie tombe, e che quest’anno, ricongiunti in trilogia, vengono replicati a turno (fino al 19 agosto, inizio ore 18.15; prenotazione obbligatoria al 334/9553640 o su www.archiviozeta.eu).
«Siamo entrati qui dentro totalmente impreparati.
Solo col tempo abbiamo imparato ad adattarci, a recitare in mezzo al vento o contro sole, a trovare il nostro spazio tra le pietre», aggiunge Guidotti e forse allude an- che a un altro adattamento, più della mente che del corpo: quello alla verità concreta, quindi difficile, di cui il Cimitero della Futa riempie la frase fatta della pietà peri vinti.
Dei diecimila spettatori che in questi cinque anni sono saliti fin quassù, la maggior parte li ha seguiti, «è riuscita nell’acrobazia intellettuale a cui ci invita Eschilo», prosegue.
«Altri non lo hanno accettato, anche perché luoghi come questo sono spesso meta di pellegrinaggi infami.
Noi rifiutiamo qualsiasi revisionismo, l’ombra che l’esercito tede- sco ha lasciato su queste montagne è sempre insieme a noi a fare da contrappeso alle parole che diciamo.
Ma era importante rischiare questa posizione, come l’ha rischiata Pavese nel finale della “Casa in collina”, con cui chiudiamo i “Sette contro Tebe”, dove dice che ogni guerra è una guerra civile e che ogni caduto chiede ragione della sua morte a chi resta».
Si può rispondere anche così, recitando ogni giorno parole antiche di millenni di fronte a 150 spettatori e a 31 mila ragazzini morti dalla parte sbagliata.