“L’uomo e le Cose”: sui luoghi della ferocia umana

Roberto Rinaldi | 29/12/2014 | Rumor(s)cena

“L’uomo e le Cose”: sui luoghi della ferocia umana

MONTE SOLE (Marzabotto- Bologna) Nel 2014 ricorre il Centenario della Prima Guerra Mondiale: un conflitto bellico che sconvolse l’Europa causando morte e distruzione causato dall’uomo vittima e carnefice di se stesso. La memoria dei tragici avvenimenti non deve subire l’oblio e fornire a chi non ha conosciuto l’orrore e la sofferenza, la possibilità di conoscere la Storia. Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni sono i fondatori dell’Associazione culturale Archivio Zeta, nata nel 1999 e con l’intento di dedicarsi ad un genere di teatro che privileggiasse la Parola. Dopo aver messo in scena l’estate scorsa al Cimitero militare germanico al Passo della Futa, Gli ultimi giorni dell’umanità – macerie e frammenti dalla muraglia di Karl Kraus, (“luogo dei perpetratori”),  hanno dato vita a “L’uomo e le Cose – ceneri di logica e morale dal Crematorio di Vienna” di Goffredo Parise, pensato per Monte Sole (“luogo delle vittime”).

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Un luogo segnato per sempre dalla brutalità e dalla ferocia delle truppe naziste insieme ai fascisti, autori di un eccidio di massa, dove furono trucidate centinaia di vittime inermi, donne, bambini e anziani. Stragi compiute tra il 29 ottobre e il 5 ottobre del 1944 nei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, nel territorio alle pendici di Monte Sole in provincia di Bologna. Uno dei crimini di guerra più gravi commessi contro la popolazione civile, commessi durante la seconda guerra mondiale. 995 vittime di cui 770 nei comuni menzionati. Tra la metà e la fine di settembre 1944, il comando della 16 esima Divisione Corazzata Granatieri delle SS ordina una operazione militare per “l’annientamento dei gruppi partigiani e il rastrellamento del territorio nemico”. Viene affidato il comando al maggiore Walter Reder, che fa circondare il territorio da un migliaio di soldati, tra cui anche degli italiani appartenenti alla Guardia nazionale repubblicana. Divisi in quattro plotoni i feroci aghuzzini bruciarono le case, uccisero gli animali e trucidarono per sette giorni di seguito. 216 bambini, 142 uomini oltre i sessant’anni, 316 donne.. .Nulla fu risparmiato: i soldati violarono anche le chiese, uccidendo anche i sacerdoti che tentavano di proteggere le persone. L’epigrafe di Salvatore Quasimodo, alla base del faro monumentale che sorge sulla collina di Miana, sovrastante il comune di Marzabotto recita:«Questa è memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo, voluto dai nazisti di Kesselring, e dai loro soldati di ventura, dell’ultima servitù di Salò, per ritorcere azioni di guerra partigiana». La scuola di pace di Monte Sole nata nel 2002 si è data il compito di diffondere, a partire dalla conoscenza, una continua riflessione sui tragici eventi commessi, avvalendosi del contributo della ricerca storiografica, delle testimonianze dei sopravvissuti, e conservando la memoria che emana dalle rovine di quello che resta sul territorio del Parco storico di Monte Sole.

Monte Sole

Lo studio permanente di quelle che sono le cause geneaologiche e antropologiche della violenza insita nell’uomo, attraverso la pubblicazione di saggi, studi scientifici, allestimento di mostre e divulgazione di materiali educativi per le scuole e la realizzazione di Campi residenziali per favorire esperienze educative tra i giovani. Un incessante impegno che si estende anche all’estero con il gemellaggio con istituzioni come l’associazione Gedenkdienst di Vienna. Tra questi progetti è nato lo spettacolo “L’uomo e le cose” (ha debuttato il 4 e 5 ottobre 2014 scorsi), in occasione delle commemorazioni per il settantesimo anniversario degli eccidi di Monte Sole. Prodotto dalla Fondazione Scuola di Pace di Monte Sole nell’ambito del Convegno di Studi “Il luogo, le vittime, i perpetratori”, nell’ambito del META Memoria Educazione Teatro Azione ideato dall’ Archivio Zeta e dalla Scuola di Pace di Monte Sole.

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La scelta di ispirarsi a “Il crematorio di Vienna” di Goffredo Parise, pubblicato in una sola edizione nel 1969, e vincitore del Premio Campiello nello stesso anno, è dettato da un preciso fine come dichiarano gli autori: «Lo abbiamo scelto anche perché totalmente rimosso dalla cultura italiana, mai più ripubblicato e attualmente fuori catalogo. Si tratta di una meditazione lucidissima sulla barbarie in atto, sulla violenza che regola i rapporti, una diagnosi spietata della nostra tecnocrazia, della nostra discarica morale e materiale». Nella quarta di copertina del libro si legge: «Siamo oltre le macerie, la fine, siamo già alle ceneri, alla chirurgica e demonica violenza intellettuale dell’uomo sull’uomo, cremazione morale della sua essenza, sostituto ovvero transfert contemporaneo dell’eliminazione del più debole, dell’inadatto o inadattabile alle morali. Si dibatte dell’uomo e delle cose, degli uomini diventati cose, di poligoni di tiro, di bersagli e di armi.»

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Parise nel suo libro da vita ad una raccolta di trentatre brevi prose concentrate intorno al tema dell’irrealità della vita quotidiana, dell’alienazione e della violenza. Il Crematorio di Vienna rappresenta un punto d’arrivo del percorso letterario di Parise, iniziato con “Il ragazzo morto e le comete”. Dalle macerie materiali del dopoguerra a quelle morali di un mondo sempre meno umano e sempre più meccanizzato. La scena de L’uomo e le cose appare come uno spazio quadrato delimitato da riproduzioni fotografiche in formato gigante, realizzate da Franco Guardascione in una discarica abusiva di Barra a Napoli. Ambientazione scenografica in grado di rappresentare un contesto urbano degradato, metafora della deriva in cui l’umanità stessa era sprofondata. Al centro della scena Enrica Sangiovanni è posizionata su una sedia girevole che ruota su se stessa creando un dinamismo tra lei e Gianluca Guidotti in posizione eretta. Un dialogo tra un assassino e il suo accusatore, un veloce scambio di accuse che vengono respinte da una tesi difensiva dove si manifesta la più totale assenza di una coscienza rispettosa della vita umana altrui. Alla constatazione in cui si fa cenno al delitto commesso: «Lei ha ucciso otto persone sparando dall’alto di una finestra sulla via sottostante», l’autore del molteplice delitto (interpretato dall’attrice) risponde: «Ho colpito otto bersagli senza sbagliare un colpo». «No, lei ha commesso otto delitti apparentemente senza alcuna ragione; perché lei non conosceva le persone che ha uccise. Le ha scelte così, a caso». La risposta è ancora più cinica: «Le ho guardate a caso, cosí come si guarda e non si sceglie un bersaglio anziché un altro a un poligono di tiro».

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Viene spiegato che i bersagli non erano sagome come nei poligoni di tiro, ma uomini. La risposta che ne consegue rappresenta la sintesi di quanto di più aberrante possa pensare un essere umano in spregio dell’altrui vita. «No, io non ho ucciso uomini, nel senso che si è dato fino a questo momento alla parola uomo. Ho semplicemente colpito delle sagome mobili. Perciò lei mi accusa di un delitto che io in realtà non ho compiuto. Non conoscevo nessuna di quelle persone. Che ragione avevo per ucciderle? Il delitto comporta il movente. Io non avevo alcun movente, ero mosso dalla gioia di fare centro. Questa gioia è data da una mia forte e innata aspirazione alla precisione e all’ordine».

Le argomentazioni propendono per una giustificazione che sovrasta ogni possibile spiegazione razionale, se pur dettata da odio e vendetta, mentre si tenta di far passare la tesi di una cieca ubbidienza, dettata da una volontà suprema e incondizionata. Sono pensieri distillati da una mente diabolica spiegati con lucida follia: «Molti corpi in movimento sono l’umanità e i contrasti tra società o nazioni o razze si possono esemplificare con la seguente formula: la guerra non è che l’azione meccanica di un gruppo piú o meno vasto di corpi in movimento; le conseguenze della guerra la riduzione da condizioni di dinamica a condizioni di statica di piú corpi in movimento. Tra due corpi la traiettoria del proiettile rappresenta non soltanto il momento di massima tensione, ma anche il momento di massima dinamica. Se il proiettile raggiungerà il corpo mobile a cui è indirizzato, quel corpo cesserà di essere mobile e diventerà immobile. Tutto il mondo sa che l’omicidio è una combinazione di natura politica e militare».

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Di fronte a tali ragionamenti è inutile tentare di suscitare un umano sentimento di colpa in chi ha armato il suo braccio sparando a caso sulla folla. I dialoghi tra i due interpreti si fa sempre più serrato e stringente. Un avvicinamento tra due etiche diametralmente opposte e la durezza delle parole scandite attentamente per far risuonare nell’aria il contrasto dialogico tra il Bene che tenta di difendere la vita umana e il Male convinto di potersi legittimare ogni forma di violenza. Goffredo Parise ha  scritto che “il nazismo è nella vita quotidiana”. Gli Archivio Zeta si assumono una grande responsabilità nel trattare una materia così densa di significati, specie se si considera il luogo in cui è stata rappresentata. Una terra bagnata dal sangue di vittime la cui unica colpa era quella di essere mogli, figli, padri e madri di uomini dediti a liberare la propria nazione dall’oppressore nazista. Parole che pesano come macigni e costringono ad interrogarsi come è nelle intenzioni degli educatori della Scuola di pace di Monte Sole. Interrogativi su cui ragionare per capire il sistema del terrore venutosi a creare durante la seconda guerra mondiale, e Pierre Nora in “Les Lieux de mémoire” spiega bene cosa si vuole intendere: «Meno la memoria è vissuta interiormente, più ha bisogno di supporti esteriori e di reperti tangibili di un’esistenza che non vive più se non attraverso essi».

L’uomo e le Cose
diretto e interpretato da Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti
in collaborazione con gli educatori della Scuola di Pace di Monte Sole
Foto di Franco Guardascione
Musiche di Patrizio Barontini e Joahann Sebastian Bach

Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni hanno fondato Archivio Zeta nel 1999. Sono autori indipendenti di teatro e cinema. Vivono sui monti dell’Appennino. Nel 2003 hanno iniziato un ciclo di spettacoli al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa dove dal 2010 al 2013 hanno messo in scena Orestea di Eschilo.

Nel 2014 hanno partecipato al VolterraTeatro Festival con l’opera di teatro collettivo La Ferita – Logos/Rapsodia per Volterraispirata a Legarsi alla montagna di Maria Lai con testi di Giordano Bruno, Leonardo da Vinci e Vincenzo Consolo. Sempre nel 2014 in occasione del Centenario della Prima Guerra Mondiale al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa hanno messo in scena Gli ultimi giorni dell’umanità – macerie e frammenti dalla muraglia di Karl Kraus. A ottobre 2014 hanno ricevuto l’importante PREMIO RETE CRITICA come migliore progettualità. Perseguono ostinatamente un teatro di Parola.

www.archiviozeta.eu