Gli Ultimi giorni dell’umanità. Al Passo della Futa – Left – 14 agosto 2014

Massimo Marino | 13/08/2014 | Left

Precipitati nella Prima guerra mondiale.

Ascoltiamo le voci dell’uomo della strada, del giornali, proclami interventisti e appelli contro il macello. Vediamo la foto dell’esecuzione di Cesare Battisti e bambini coperti solo di carta. Pantere trionfanti e brani atonali ritraggono un mondo esploso. A un certo punto, sentiamo solo il vento. E un odore di erbe selvatiche, tra le file ordinate di pietre tombali che riempiono la collina. In cima, un sacrario: un’ala spezzata di sassi di diverso colore.

Le voci raccolte da Karl Kraus in quel suo protocollo dell’orrore che è Gli ultimi giorni dell’umanità in alcuni momenti si smorzano e rifulge la drammaticità del luogo reale. Siamo al Cimitero militare germanico della Futa ( sull’Appennino tosco-emiliano, ndrì, in mezzo a migliaia di lapidi di giovanissimi soldati tedeschi caduti nella Seconda guerra mondiale.

Un monumento, un monito all’insensatezza delta guerra. Qui da anni Archivio Zeta, compagnia indipendente appartata tra questi monti, presenta una tragedia, di solito greca, ohe mette m corto circuito la violenza antica e le domande suscitate da quel luogo di pace dopo la furia. Questa volta II lavoro, bellissimo, è tratto dalla fluviale tragedia di Karl Kraus, quasi ottocento pagine, ultimata negli anni Venti in cinque atti per un palcoscenico che non esiste, un «teatro di Marte». è un dramma a stazioni, accompagnato dalla voce dello stesso autore, recuperata insieme a musiche d’epoca da Patrizio Baron t ini (che ha anche composto inquietanti inserti sonori), diffuse da una robotica Impalcatura metallica sistemata sulle spalle di un portatore.

I registi-attori, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti nei panni dell’Ottimista e del Criticone di Kraus, ci conducono tra brani presi dalla cronaca, analisi scorticanti, immaginazioni visionarie di una terra che si autodistrugge, di un uomo che inganna i propri slmili perii profitto, che massacra la natura e se stesso preparando un’apocalisse senza resurrezione. Si accumulano fatti, l’attentato diSarajevo, la fede in una guerra veloce, la retorica patriottarda Nel sacrario i protagonisti diventano i mezzi di comunicazione, che alimentano il fuoco, che travisano, che esaltano la ferocia, conqueì borghesi grassi e ridenti Intorno al corpo di Battisti Poi si scende, tra le file di lapidi e allora udiamo il vento E le disperate parole delle lettere dal fronte.

Lo spettacolo diventa dolorante, altissima meditazione sull’uomo e la sua vanita, conclusa in un campo sterminato di pietre tombali con un allucinato lampeggiare di visioni di distruzione, riportate solo dalla forza della parola dell’intensa drammaturgia Maschere antigas hanno i personaggi, che avanzano da lontano, spettri minacciosi e disfatti. Su un muro due attori-corvi saltabeccano sulla carneficina.

Una voce, dall’alto (quella, registrata, di Luca Ronconi, maestro dei registi, che nel 1990 attesti il testo! da Marte dichiara la guerra nostro stato perenne, e decreta l’estinzione dell’insana umanità Lo spettacolo è in scena fino al 17 agosto www.archiviozeta.eu